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INTERVISTA | Mary Zygouri


Courtesy Istituto Italo-Latino Americano di Roma (foto di Roberta Forlini)


E’ un sabato mattina di metà novembre pieno di sole, per le strade del centro, un allegro trambusto di veicoli, mezzi pubblici, carrozze e turisti che si muovono sotto il cielo terso e limpido, azzurrissimo. Mary Zygouri mi aspetta seduta al Pantheon, e quando arrivo ci sono due donne con lei, che stanno parlando della comunità greca di Roma – “…esigua, poco organizzata, non abbiamo nemmeno un istituto di cultura qui!” - e delle difficoltà del momento storico che la culla della democrazia sta attraversando.
Mi siedo vicino a Mary, reduce dalla performance di giovedì 11 che dallo Studio Miscetti in via delle Mantellate, dove sono in mostra una serie di lavori fotografici e la trilogia di video-perfomances intitolata ZOOPETICS-ZOOPOLITICS, si è conclusa all’IILA (Istituto Italo Latino Americano), in via dei Catinari.
Il suo è un bel profilo greco, gli occhi scuri sono pieni e concentrati, il sorriso aperto ed accogliente. Ci addentriamo immediatamente nella conversazione, agevolate dall’ottimo italiano di Mary.

Mary Zygouri | Per la performance ho riempito con della gommapiuma 27 sacchi bianchi dopo averli fatti serigrafare con la scritta: contenuto: merce democratica -  provenienza: Ellas. Questi sacchi sono stati chiusi e caricati su un carretto di legno a due ruote assemblato per l’occasione. Trascinare questo peso, simbolico sì, ma anche ingombrante e voluminoso, risalendo via della Lungara dal carcere, in mezzo al traffico della Lungara, passando di fronte all’accademia dei Lincei, per arrivare a piazza Trilussa e a Ponte Sisto, non è stata impresa facile, e come il mito di Sisifo, tutta l’azione è una metafora della estrema difficoltà del raggiungimento di uno scopo: tenere viva e partecipe la democrazia, che più di ogni altra forma di potere, se non è costantemente nutrita, rielaborata, rinnovata, si svuota della sua essenza e necessariamente va in frantumi.


Courtesy Istituto Italo-Latino Americano di Roma (foto di Roberta Forlini)

Domanda | I sacchi tra l’altro, diventati come delle protesi del tuo corpo, hanno diverse eco, ma senza dubbio l’associazione più immediata è con il cibo, con le patate, un alimento povero (e dei poveri) quindi; in ogni caso, i sacchi sono associati al loro scopo di contenitori di oggetti.
M.Z.
| Si, per questo funziona il collegamento democrazia = merce, cioè un bene non più assoluto, ma avente valore di mercato.

D. | Non a caso, il momento clou della tua azione è stato il Monte della Pietà.M.Z. | Lì è successa una cosa totalmente imprevista e inaspettata: quando sono arrivata là davanti e ho bussato alla porta, insistentemente, nonostante sapessi che fosse chiuso, la porta si è aperta! E’ stato pazzesco, neanche io ci potevo credere, quindi ho iniziato a spingere per entrare, parlando in greco – anzi, urlando quasi – addosso alla donna che aveva aperto. Percepivo dall’altra parte una reazione di spavento, di ostilità; e mentre cercavo di entrare, una forza da dietro si opponeva, e alla fine non ce l’ho fatta: mi hanno sbattuto la porta in faccia. E’ stato il momento di maggiore intensità per me, perché il banco dei pegni è il luogo dove l’impresa “commerciale” della mia azione ha acquisito un senso, tramite la sua stessa negazione.

D. | C’è stato anche un altro momento cruciale nel tuo cammino: quando davanti ad una pattuglia di carabinieri, ti sei fermata e piegata carponi, e si è visto nettamente che hai vissuto una trasformazione.
M.Z.
| Si, anche lì è stato fortissimo e non programmato. Ho visto le forze dell’ordine e davanti ai loro occhi stupiti mi sono gettata a quattro zampe, ero come in uno stato di trance: non più persona, mi sono trasformata in una bestia. Ero un mulo da soma, o un cavallo, non so, ma sentivo dentro di me la violenza e la costrizione crescere, del tutto simili a quella  di un animale vinto; le stesse repressioni che la vita di tutti i giorni ci impone. Non siamo più persone, siamo animali da fatica, chini e a testa bassa, a fare il nostro dovere, senza più diritti, solo doveri, Ma il soggetto dov’è? Ci stanno facendo dimenticare di essere dei soggetti (lo ripete in greco, n.d.r.).


Courtesy Istituto Italo-Latino Americano di Roma (foto di Roberta Forlini)

D. | Quindi questo passaggio è stato del tutto imprevisto, istintivo, cioè hai sentito l’urgenza di farlo, e l’hai attuato. Immagino sia stato anche umiliante, o no?
M.Z. | Molto, ma è questa la parte che mi interessa di più di una performance: sono in uno spazio pubblico, e tutto può accadere; io devo lasciare che succeda. Vivo la mia azione come una sorta di trance; veramente sono fuori dal corpo, ma in contatto con una forza che mi guida.

D. | Com’è il tuo prima, voglio dire, come ti prepari?
M.Z. | In realtà non ho una strategia precisa, non c’è un qualcosa che faccio sempre, meditazione, o yoga (ride n.d.r.). Cerco la solitudine, questo sì, perché ho bisogno di dialogare e ascoltare il mio Io profondo: devo essere in contatto con me stessa per sentirmi pronta, e non è sempre facile.

D. | La performance che hai attuato qui a Roma è stata presentata la prima volta a Salonicco nel 2009 e poi a Napoli a giugno di quest’anno. Come si è evoluta e qual è stata la risposta di questi tre luoghi così diversi?
M.Z. | Beh, a Salonicco l’azione si è svolta in un aeroporto, in un luogo deputato al transito quindi, dove mi confondevo con il mio carico trascinandomi tra il viavai della folla. L’aeroporto, che si trova nella Macedonia centrale, è un po’ un non-luogo, per citare Augé, non ha connotazioni storiche precise, è un’architettura che potrebbe trovarsi in ogni parte di mondo. Napoli è una città molto particolare, estrema direi, e lì sono stata alle prese più con il traffico, i veicoli e la gente, mentre a Roma mi sono confrontata con i luoghi della Storia: la Lungara, con il carcere di Regina Coeli soprattutto, è stato un punto importante da toccare, anche se marginalmente, con la mia presenza; poi i posti vicini, come la Casa Internazionale delle Donne, che evidenzia un’altra sfumatura della mia azione, portando l’accento sulla tematica di genere, in un momento così particolare per le donne, soprattutto in Italia. Lì dietro c’è pure la Casa della Memoria e della Storia, per non parlare di Ponte Sisto, costruito da papa Sisto IV a fine 1400 sul sito di un più antico ponte romano. Della densità di significato del Monte della Pietà, dove si lasciavano gli oggetti in pegno, abbiamo già detto.

D. | Cosa ti ha dato il fare questa performance?
M.Z. | E’ stato molto emozionante, particolarmente intenso oltre che dispendioso in termini di energia. La cosa che mi rimarrà sempre, è la sensazione netta della partecipazione della gente che mi era intorno: ci saranno state circa 100 persone che mi seguivano, soffrivano con me ed erano emotivamente coinvolte: erano tutti dentro l’azione con me, a diversi livelli, c’è stato uno scambio che posso definire osmotico: potevo sentirlo.

D. | Tra gli altri, era presente anche Achille Bonito Oliva. Ti ha fatto piacere?
M.Z. | Sì, certo, anche perché ad un certo punto mi ha dato la benedizione, davanti a tutti, accrescendo il senso rituale della cosa. Alla fine ha anche detto che questa performance mi consacra come artista! E se lo dice lui…. (esplode in una risata, n.d.r.)
Ringrazio Mary per il tempo concessomi e per la generosità del suo racconto, denso di dettagli, energia e coinvolgimento. Attraverso Piazza della Rotonda anche io emozionata: quando ci salutiamo le brillano ancora gli occhi.

Laura Giorgini

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