Naoyuki Tsuji, Zephyr (2009), Courtesy of the artist and Corvi-Mora, London
Dieci videoartisti giapponesi – Takehito Koganezawa, Meiro Koizumi, Yuki Okumura, Saki Satom, Hiraki Sawa, Atsushi Suzuki, Koki Tanaka, Mariko Tomomasa, Naoyuki Tsuji, Chikako Yamashiro – raccontano il loro Paese e il cambiamento avvenuto in esso negli ultimi dieci anni. In mostra vengono presentate diverse tipologie di video, da riprese veloci della città ad altre più intime, ambientate tra le pareti domestiche. Filo conduttore è il racconto della vita quotidiana, articolato in piccoli ma significativi accadimenti. Si indaga la realtà di tutti giorni, quella ordinaria e poco eclatante, ma non per questo priva di significato e di valore. Da quest’impostazione emerge la distanza con cui la nuova generazione giapponese si confronta con la Grande Storia, divenuta ormai un passato con cui risulta difficile fare i conti.
Una sequenza di movimenti e rumori di oggetti è il tema di Everything is Everything di Koki Tanaka, uno dei video più significativi della mostra. Ombrelli, bidoni, materassi, cuscini e articoli analoghi vengono fatti cadere, lanciati o, come nel caso della carta igienica, srotolati in ambienti poco appariscenti. Nel silenzio, il protagonista di queste azioni è il rumore, che da solo basta a catturare l’attenzione. Il video indaga la ricerca di spettacolarità del banale e studia l’impiego in senso estetico dei materiali d’uso comune. Il ritorno alla semplicità, peraltro, è una scelta intenzionale degli artisti in mostra, che hanno prodotto i video con budget molto limitati, opponendosi alla recente videoarte grandiosa e teatrale.
Particolarmente interessante è Have a meal with FATHER, dove Mariko Tomomasa pranza di volta in volta con degli sconosciuti che recitano il ruolo di padri. I due si ritrovano ad un tavolo, davanti a una televisione accesa, mentre si intrattengono in conversazioni ordinarie, affini a quelle degli sceneggiati televisivi. In ogni scena, il padre di turno dialoga con l’artista domandandole del fidanzato o del matrimonio, intrecciando i vari argomenti secondo ruoli stereotipati, prevaricanti la naturalezza e l’intimità del rapporto umano.
Mariko Tomomasa, Have a meal with FATHER (2000-2010), Courtesy of the artist
Non manca poi una riflessione sulla situazione del Giappone seguita al secondo conflitto mondiale: BORDER, di Chikako Yamashiro, tratta infatti delle installazioni americane a Okinawa. L’artista non filma le basi ma i loro confini: le reti e gli sbarramenti che le circondano e le rendono minacciose e inavvicinabili. Il video, lontano dal voler fornire una descrizione didascalica dell’occupazione statunitense della zona, si focalizza piuttosto sulla percezione di pericolo e ostilità che la zona militare suscita in chi la guarda. Il sonoro del video contribuisce inoltre a enfatizzare questa condizione, rendendo sinistre e angoscianti delle inquadrature assolutamente ordinarie.
Alcuni video sviluppano infine una dimensione ludica, come in Eight Minutes dove Hiraki Sawa realizza un collage decisamente surreale, in cui un gregge di capre viene fatto muovere all’interno del suo appartamento. Il gioco riesce grazie alle dimensioni sfalsate rispetto al reale con cui gli animali vengono inseriti nel contesto domestico, generando scene alienanti, ma altamente suggestive. In questo ambito si colloca anche Naoyuki Tsuji, che in Zephyr narra la storia di un bambino portato in aria dal dio del vento. L’artista realizza il video con disegni a carboncino che poi filma, creando una vicenda unitaria. Il racconto è semplice, ma non per questo inconsistente. Una pausa di leggerezza infantile, prima tornare alla complessità del mondo ‘adulto’.
Francesca Castiglia
Videozoom: Giappone. Re-inquadrare il quotidiano: la videoarte giapponese negli ultimi dieci anni.
a cura di Kenichi Kondo
dal 7 dicembre 2010 al 10 gennaio 2011
Sala 1, Piazza di Porta San Giovanni 10 – Roma
www.salauno.com