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RUBRICA | La coperta di Lino

Contraffazione della realtà e fenomenologia della verità nelle pratiche audiovisive odierne.

Proseguiremo con la velocità del fulmine a tracciare le premesse teoriche necessarie alla formazione degli strumenti d'analisi necessari a confrontarsi con le varie forme di prodotti audiovisivi odierni. Questa volta partiremo dal concetto di realtà: nella nostra lingua s'intende con questo termine ciò che esiste effettivamente, contrapposto, nel luogo comune, a ciò che è invece immaginario o fittizio. Nella sua origine latina (realitas) il concetto, sviluppatosi nel tardo medioevo, si contrappone all'idea di abstracta, cioè a ciò che l'intelletto umano crede circa la verità delle cose. Potremmo affermare, in termini più audiovisivi, che  normalmente per realtà s'intende tutto ciò che non è fiction.
Mi piacerebbe accompagnare il discorso con maggiore e certamente necessaria gradualità ma proverò a trasformare la necessità in virtù cercando di stilare un concentrato di pillole e rimandando il lettore ad ulteriori ed autonomi approfondimenti.
Quindi senza passaggi intermedi tracciamo immediatamente la relazione fondamentale che si instaura tra concetto di realtà, filosofie positiviste e antropocentrismo. Prima di ogni cosa è necessario stabilire che se anche in ambito filosofico il positivismo, pensiero di derivazione illuministica basato sull'esaltazione dell'umanesimo, è stato di gran lunga e da molto tempo superato, ancora attualmente nel mondo, nella cultura di massa, è la modalità di pensiero maggiormente diffusa oltre che la base primaria d'interpretazione del mondo. Le definizioni principali di questa filosofia sono facilmente riassumibili in una spasmodica fiducia nelle scienze razionali e quindi nell'uomo, che tramite esse, si pone come osservatore privilegiato di tutte le cose. Forse il fenomeno trova inaugurazione nella famosa frase di Protagora che propone l'uomo come «misura di tutte le cose», ma plausibilmente si potrebbe sostenere che la trova nel fondamentale fraintendimento di questa frase. Cercheremo di intuire il perchè. La filosofia cristiana interruppe per un lungo periodo i processi messi in atto da queste filosofie ricostruendo il mondo seguendo una concezione teocentrica successivamente di nuovo scardinata a partire dall'umanesimo. A distanza di secoli l'uomo ritorna in scena, non più come 'misura' ma come centro di tutte le cose, 'padrone' dell'universo...

Se certamente all'epoca fu necessario liberare l'uomo dalla soggezione secolare nei confronti di dio ed esaltarne le mirabili capacità, oggi proprio questo tipo di visualizzazione del mondo si caratterizza non solo come limite concreto ad una ulteriore evoluzione dell'uomo e del suo pensiero, ma addirittura come strumento dei poteri stabiliti per mantenere lo status quò che li conserva tali tramite la propaganda. Vien da se che una situazione di potere si sposa sempre e comunque  con una volontà conservatrice, la quale applica alla società ogni tipo di freno, per evitare il più a lungo possibile i suoi eventuali cambiamenti; per rendere possibile tale conservazione, si basa su detta idea di un mondo come teatro dedicato ai monologhi dell'uomo. Uno dei veicoli principali di diffusione di una tanto ingenua illusione sono proprio i mezzi audiovisivi nelle modalità in cui vengono maggiormente utilizzati. Ovviamente nella maggiorparte dei casi i contenuti testuali muovono fortemente in questa direzione, ma prima di questi, più facilmente individuabili da una volontà critica, agiscono elementi tali da insinuarsi nell'inconscio in maniera ben più subdola e fuorviante. Basti pensare alle modalità di ripresa: nel corso dei decenni le macchine si sono trasformate completamente ma una cosa è rimasta identica... Le modalità di visione che offrono in partenza sono da sempre il più perfettamente "tagliate" per imitare le condizioni percettive dell'apparato occhio-cervello umano e anche il giudizio riguardo la loro qualità si lega a questo parametro. In un certo senso si può affermare che ogni situazione visiva ripresa sia essenzialmente una 'soggettiva', in quanto riproduzione di un eventuale sguardo umano; tramite il precedentemente accennato 'effetto verosimile' 'la fiction', tg compresi, 'confonde' nell'incoscio di milioni di telespettatori tale visione soggettiva e parziale con una oggettiva e inequivocabile; come fosse rappresentazione tal quale della realtà, 'copia fedele dell''essere concreto'. Alla luce di questi argomenti la famosa frase di Steina Vasulka riguardo la ricerca di una visione delle macchine che possa farci scoprire il mondo percepibile in condizioni di visione altre dall'abituale acquisisce una crucialità ancor più evidente: le questioni rigurdo le visioni possibili non sono mero interesse di optometristi e operatori video, nè argomenti che rimangono nello specifico delle arti, bensì una vera questione culturale, sociale, politica. Potrei scrivere centinaia di cartelle ma più immediatamente mi riferirò per un momento ad una citazione classica, cioè Dan Graham, uno di quelli che fin da subito si è volontariamente legato alle implicazioni socio-politiche dei media nella società oltre che alla relazione tra arte e video nel contesto del tessuto sociale...  Nel suo scritto Video as a Television: An American Family questo artista e teorico parla della funzione di «specchio deformante» della società della televisione negli anni '50: la tv vende la nozione di famiglia felice idealizzata e rappresententata nei tipici formati (che hanno fatto storia) della situation commedy o della soap opera. Ora, definiamo subito eccessivamente ingenuo un qualunque pensiero che possa supporre che il fenomeno di deformazione sia in qualche modo diminuito o sia rimasto limitato a generi facilmente individualbili come fiction. La contraffazione è totale ed evidente! Andiamo alla fenomenologia della verità, quindi al senso d'esserci delle arti audiovisive odierne. Giungiamo all'opposto culturale della contraffazione della realtà (argomento riguardo il quale rimando alla breve intervista di Gillo Dorfles per RAIPERUNA NOTTE) che individuiamo come fenomenologia della verità; questa la troviamo nelle espressioni migliori e nella natura stessa dell'arte video.

Una delle caratteristiche principali di queste discipline è quella di rendere possibile, nelle variazioni delle condizioni visive, l'apparire di sembianze inedite del mondo. Questa 'vocazione' particolare le arti elettroniche, come eredi di tutte le arti precedenti l'hanno acquisita dalle avanguardie storiche, le quali infatti, non mancavano certo di una sensibilissima e consapevole ricaduta sull'opinione pubblica più o meno presente o futura. Dalle prime forme d'impressionismo fino all'arte in pixel la forma si fonde alla sostanza, la vetusta dicotomia non potrà più esistere: la ricerca estetica coincide con quella intellettuale, in ciò che si fa presente nell'opera; nei suoi elementi e nella forma di questi risiedono le stratificazioni di senso. Nelle arti audiovisive le possibilità di produrre senso tramite le avventure della forma hanno raggiunto esiti esaltanti, i quali hanno visto realizzarsi concretamente le immaginazioni più estreme e le utopie più fantasiose di quegli artisti che per primi hanno cercato, tramite l'arte, di revisionare il mondo cercando nuovi orizzonti di pensiero: espressionisti, cubisti, futuristi, astrattisti e via via proseguendo fino alle nuove avanguardie, che ne hanno raccolto la staffetta. Oggi a mio avviso, questo testimone, come sempre osteggiato da molte strutture di certi sistemi di potere, si trova in mano alle arti multimediali digitali e a queste è giunto passando per quelle elettroniche. Veniamo alla verità: Heidegger ce l'ha presentata come processo di «illuminazione e nascondimento», alternarsi di tenebra e luce fulminea... Cosa vuol dire? Lui stesso ha impiegato una cinquantina di pagine, ora io ormai abituale kamikaze, cercherò di riassumerlo in qualche modo nelle poche righe che restano e inoltre di spiegare per quanto possibile il motivo per cui la verità di cui accenniamo è strettamente legata alle arti multimediali. La verità è il «non essere nascosto dell'ente». «Aletheia». «Nell'opera è in opera l'evento della verità»: questo non ha di certo nulla a che fare con l'imitazione della cosiddettà realtà. Come chiarisce Gadamer in Verità e metodo parlando di «valenza ontologica dell’immagine», nel testo heideggeriano viene in luce il fatto che l’immagine come opera d’arte «non deve essere intesa come immagine-copia (Abbild) subordinata a un modello, ma come immagine (Bild) capace di manifestare la presenza del rappresentato e di porlo come originale» (Ur-bild) . Come scrive Heidegger, «ciò che è in opera nell’opera è l’apertura (Eroffnung) dell’ente nel suo essere, il farsi evento della verità (das Geschehnis der Wahrheit)».

L'opera «espone un mondo» io dico 'è' un mondo, che in quanto tale non è mai un surrogato di un qualcosa che è stato altrove, bensì un qualcosa che è, nel caso dell'arte video, nel presente simultaneo alla propria trasmissione/apparizione. Nelle varie forme in cui l'arte video trova indipendenza da questo meccanismo di imitazione e quindi di illusione di una realtà, anch'essa illusoria, manifesta la fenomenologia della verità, mostrando non solo la verità specifica del loro peculiare essere, il darsi delle loro propulsioni di senso, ma inoltre la verità dei mezzi audiovisivi, nonchè alcuni importanti strumenti per esperire la verità delle cose del mondo in cui viviamo, rivedere la posizione dell'umanità e la sua condizione. Le arti audiovisive quindi, in fondamentale alternativa agli audiovisivi 'strumento di potere', si costituiscono come terreno fertile in cui immagini e suoni divengono corpo delle scoperte scientifiche e filofofiche dell'ultimo secolo, scoperte queste, che hanno rivoluzionato completamenete il modo di pensare l'uomo che percepisce il mondo e la sfuggente essenza delle cose che lo abitano.

Lino Strangis

 

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