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Due ma non due?


Due ma non due. Guardiani e Portatori
, particolare della mostra, Courtesy Limen otto9cinque

Già dai primi anni Sessanta Renato Mambor, nel suo studio romano, lavorava alla creazione di oggetti scultorei che nascevano dalla reazione alla pittura informale e all’arte come gestualità ed espressione soggettiva. Le figure umane stilizzate emergono nella sua ricerca dal 1961, in quanto segno iconico desunto dal linguaggio convenzionale della segnaletica stradale. «Togliere l’io che deforma la visione dal quadro»: questa breve frase sintetizza le sperimentazioni proprie di quegli anni, dove tra pop e arte concettuale, va definendosi a Roma il profilo di una generazione di artisti che hanno restituito centralità e fermento alla realtà della capitale. A Roma, Mambor lavora per “spingere l'immagine […] non in avanti verso il rumore (come tutto sembrava suggerirmi) ma indietro verso il silenzio”.

Le opere in mostra, già presentate in altre recenti occasioni come la mostra del 2008 alle Scuderie Aldobrandini di Frascati o l’antologica del 2009 a Castel Sant’Elmo, sono frutto degli ultimi anni di lavoro dell’artista, ma ripropongono temi già affrontati in passato da Mambor: i Portatori sono figure umane bidimensionali, ognuna caratterizzata da un diverso elemento. Il legno, il vetro, il sale e i mattoni richiamano le azioni del costruire e del cuocere, dell’abitare e del mangiare. Le figure umane, anonime e senza identità, sono immobili, ma nella posa evocano un movimento cristallizzato nel tempo. Gli Osservatori bianchi sono invece fermi nell’atto di guardare, poggiati al muro: la loro posizione è distesa, rilassata e ripetuta tante volte quante sono le sagome bidimensionali che riproducono la figura umana di profilo. Nel cortile d’ingresso alla galleria una sagoma ritagliata lascia scorgere l’ombra scura dell’artista fissata sul pannello antistante; entrando risaltano i colori vivi dell’Acquaiola, dello Spensierato e del Renato Sumero.


Abito cerimoniale, collezione Vincenzo Moggi, Courtesy Limen otto9cinque

Il percorso installativo crea contrasto tra le sagome stilizzate dell’artista che occupano lo spazio in modo piuttosto libero e i Guardiani che sono esposti come oggetti in un museo. Ignorando la produzione artistica del continente africano, posso solo osservare come l’art nègre abbia avuto un peso enorme per alcune correnti del Novecento e abbia influenzato il modo di pensare lo spazio e la forma in Occidente.

L’arte africana, stando il limite che già questa definizione impone a una produzione artistico-culturale vasta e differenziata, è lo strumento della comunicazione non verbale, il mezzo dell’espressione sociale, il linguaggio condiviso per la trasmissione della cultura e del sapere: è concepita e realizzata per essere capita dal 'pubblico' cui si rivolge. Gli oggetti legati alla ritualità hanno un ruolo centrale come elementi di mediazione tra il mondo reale e quello soprannaturale. L’arte africana può essere intesa in questo senso come arte collettiva, sociale, perché inserita nella vita quotidiana. Il legame tra questo tipo di espressione e le sagome di Mambor è difficile da rintracciare e sicuramente impone una riflessione. «Grande è la distanza formale ma pressoché coincidente il valore eticamente simbolico delle opere esposte: tribale e sociale nel nome dell’arte si avvicinano per fondersi in una visione unitaria, in una riassunzione di valore che genera il titolo dell’evento: due ma non due» spiega Riposati.

Se quindi non è nella stilizzazione delle forme il punto di contatto tra i due attori in mostra, questo andrebbe rintracciato nell’intento che muove le diverse produzioni artistiche: per Mambor un’arte che, passando attraverso l’assenza di soggettività e l’uso di segnali linguistici riconoscibili, si rivolge a tutti, supera le tradizionali differenze tra astrazione e figurazione, compiendo un percorso all’indietro dall’immagine all’icona; dall’altra parte un’arte iconica che nasce da un linguaggio condiviso e convenzionale, in grado di comunicare idee e valori fondanti la comunità. Tuttavia lo sforzo di cogliere le assonanze non è accompagnato né suggerito da un progetto espositivo che rimane abbastanza scarno e lascia spazio a qualche dubbio sull’autenticità dell’idea curatoriale.

Eleonora Capretti


Due ma non due. Guardiani e Portatori
a cura di Massimo Riposati
dal 2 dicembre al 31 gennaio 2010
Limen otto9cinque, Via Tiburtina 141 - Roma
www.limen895.com

 

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