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SPECIALE | Domande a una Biennale

Sì, lo so, la Biennale Architettura è finita da un bel pezzo; ma come rinunciare alla tentazione di un bilancio, per quanto tardivo? In realtà, adesso che ci penso, mi sto rendendo conto di quanto sia difficile stilare un resoconto delle tante cose viste. Tante e confuse, aggiungerei. Ho scambiato diversi pareri con persone che sono andate in trasferta a Venezia per questa scorpacciata di plastici, animazioni 3D, installazioni, ma anche foglietti di carta stropicciati appesi alle pareti, video interminabili, didascalie insignificanti. La difficoltà di lettura è stata eletta praticamente all’unanimità come titolo ideale di questa 12esima edizione; e, più che porre interrogativi, la Biennale 2010 sembra aver suscitato perplessità e scetticismo. Partiamo da un presupposto: il ‘sistema-Biennale’ è un traino assolutamente indispensabile, capace di innescare un circuito virtuoso di eventi (mostre, incontri, sostegno agli artisti, posti di lavoro…) con ripercussioni dirette pure sull’economia della laguna. Un gigante in grado di generare turismo e muovere idee, favorire rassegne collaterali e permettere ai bar di far scorrere spritz a go go (rigorosamente con Aperol, per cortesia): tale è e tale deve rimanere. Il punto è un altro, e riguarda la parte prettamente curatoriale della manifestazione. Ora, senza particolari pretese, vorrei rivolgere alcune domande agli organizzatori della Biennale: domande sincere, svuotate d’ogni retorica, valide per l’Arte come per l’Architettura, visto che le edizioni da me viste finora hanno sempre denunciato – chi più, chi meno – le stesse problematiche. Mi chiedo, per esempio, se sia ancora ammissibile una tale modalità espositiva: come si può cogliere qualcosa di sensato e coerente in mezzo a tanta roba? È giusto dare un titolo, nel tentativo – quasi sempre fallimentare – di uniformare i lavori presenti? Si può pensare ancora di allestire una mostra praticamente ‘invisitabile’ nella sua struttura mastodontica? Non è parzialmente irrispettoso nei confronti del visitatore concepire una mostra per la cui fruizione servirebbero almeno tre giorni (memorabile, in questo senso, la sala curata da Obrist all'Arsenale, con non so quante decine di video-interviste a vari personaggi sul ruolo dell'architettura: solo per quella ci sarebbero volute 3-4 ore)? Si ha così l’impressione che al visitatore venga chiesto di entrare in modalità ‘mercatone’: passi fra i reparti, butti un occhio agli scaffali e metti nel carrello ciò che ti riempie di più l’occhio. Bene, si può anche stare al gioco: ma tale approccio non lede alla base il principio per cui l’opera d’arte sia un dispositivo da esplorare, sul quale soffermarsi e riflettere? Non sempre è così, d’accordo, ma non si corre – in generale – il rischio di perdere qualcosa che valga la pena, in nome della rapidità dello sguardo? Il colpo d’occhio non sempre si rivela il miglior criterio. Non si potrebbe pensare di organizzare un’esposizione più concentrata, possibilmente organica e meno dispersiva? L’enorme varietà di lavori va a discapito della leggibilità d’insieme delle intenzioni del curatore: si deve dunque rinunciare definitivamente al tentativo di una comprensione coerente e unitaria? Oppure la possibilità di farsi un’idea è rimandata alla lettura dell’intero catalogo, magari da studiare previa visita? Un po’ come andare al cinema solo dopo aver letto la monografia  del regista, sennò è meglio stare a casa, ché non si capirebbe nulla. E ancora: cosa deve esprimere una Biennale? Credo, almeno, il meglio di quanto elaborato nei due anni che la separano dalla precedente edizione, cercando di guardare alle prospettive che l’avanzamento (o lo sconfinamento ‘laterale’) dell’ambito artistico può prefigurare. Alcuni padiglioni sembrano vivacchiare ai Giardini, quasi fossero là per dispetto. Perché non prevedere dei parametri di ammissione un po’ più severi rispetto alla sciatteria della proposta?

Penso di poter sbagliare a rivolgere tali interrogativi a una direzione che mai leggerà: finora ho parlato di ridimensionamento, quasi una ‘decrescita’ della Biennale. Ma, in fondo, se tutti gli anni mi ripresento a Venezia nel periodo fra giugno e novembre, non è per questo richiamo mediatico, per questo dispiegamento di forze, per questo continuo parlarne che mi spingono a sperare nella ‘mostra perfetta’?
Tuttavia, in attesa di capire se mai mi stancherò di fare come Ulisse con le sirene, non è giusto pretendere qualcosa di più da una Biennale?

Saverio Verini


 

Mostra Internazionale di Architettura | People meet in architecture
a cura di Kazuyo Sejima
dal 29 agosto al 21 novembre 2010
Ca' Giustinian San Marco 1364/A - Venezia


 

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