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RUBRICA | La coperta di Lino

 

Ideografie dinamiche e romanzi audiovisivi

A questo punto cercheremo di aggiustare qualche tiro. Credo sia dovuto, data la necessità di percorrere molto velocemente quanto scritto finora. Ci sono una serie di possibili fraintendimenti che credo sia opportuno contrastare. Una questione, una delle questioni ‘madre’: la narrazione nei prodotti audiovisivi. Senza ripetere il già detto, ci ricordiamo che abbiamo preso a riferimento la radicalissima posizione espressa da Pirandello riguardo la possibilità di produrre arte tramite le tecnologie audiovisive. Molto seccamente si è sostenuto, di conseguenza, che un romanzo sviluppato con gli audiovisivi altrimenti che con la scrittura non possa e non debba essere considerato arte video.
Ma non si pensi che dietro a questa affermazione ci sia un qualche tipo di tentativo di screditare il romanzo come arte, se anche, come accade in tutti i modi espressivi che godono di un "successo di massa" troppo lungo, le produzioni di qualità artistica diminuiscono vertiginosamente, in misura direttamente proporzionale alla proliferazione di prodotti, studiati soprattutto tenendo conto di leggi di mercato più che di motivazioni legate alla ricerca artistica. Ora cerchiamo di segnare per l'ultima volta il confine (sempre mobile e reinterpretabile) tra arte narrativa e arte audiovisiva. La più tipica delle arti occidentali è il romanzo: questa particolare forma espressiva ha segnato la nostra civiltà fino ad oggi come nessun'altra, tanto che anche l'interpretazione di altri linguaggi spesso cade nell'errore di fondo di rimanere evidentemente incollata alle modalità che accompagnano il confrontarsi con questo. I gravi errori d'analisi che conseguono da questo dato di fatto sono essattamente ciò che intendevo contrastare con questi scritti, ma in queste righe intendo chiarire che credo sia certamente possibile (molti lo hanno fatto e lo si fa) realizzare un'opera d'arte narrativa con tecniche audiovisive, ma il coefficente artistico, in tale tipo di operazione, non risiede nell'espressione artistica degli audiovisivi. Sarà interessante citare Pierre Levy, filosofo della conoscenza famoso per le teorie riguardo l'intelligenza collettiva, il quale, nel corso di una intervista realtivamente recente così si è pronunciato:

«Non si tratta di rimpiazzare nè il linguaggio parlato, né il testo alfabetico, e nemmeno il testo statico con l'ideografia dinamica. Si tratta invece di sfruttare a fondo le potenzialità dei nuovi supporti facendo riemergere i linguaggi dimenticati, le lingue grafiche dimenticate. Si dice oggi che c'è da una parte il linguaggio e dall'altra il disegno o l'immagine, mentre in realtà non è vero. C'è piuttosto un continuum semiotico tra i due, e l'obiettivo è proprio quello di ricostruire questo continuum [...]. Si tratta di un linguaggio che non si poteva concepire prima dei nuovi media [...] in una parola l'orizzonte dell'ideografia dinamica è la visualizzazione su uno schermo di un modello mentale


Il filosofo Pierre Levy

Per ideografia dinamica intendiamo scrittura dinamica di idee extraverbali: la parola certamente può rientrare in tale tipo di processo (basti pensare alle video poem opera di Gianni Toti o ad alcune opere di Robert Cahen come Corps flottant) ma mai esserne, in forma narrativa,  l'elemento principale, se non unico (come in molte produzioni commerciali) tra quelli che dell'idea costruiscono il senso, dove per senso si intende sia le possibilità di interpretazione che il senso come motivo dell'esistenza stessa dell'elaborato. Nel caso in cui il ‘core’ dell'enunciato risieda unicamente o prevalentemente nella parola (in forma di dialoghi o di racconto) allora non ci sono ‘estremi’ per parlare di arte video, bensì di letteratura realizzata con gli audiovisivi. A tal proposito mi va in questo momento di fare un esempio: potrei citare grandi capolavori del genere (di cui molti hanno vinto oscar, palme d'oro e vari) ma invece scriverò brevemente della fiction di Sky intitolata Romanzo criminale. La serie televisiva, che ha riscontrato un notevole successo, ha proposto in forma di romanzo audiovisivo la storia (necessariamante romanzata) della banda della magliana. Se anche – senza dubbio – ha mostrato una notevole qualità (rispetto alla media delle produzioni italiane del genere), per quanto concerne gli aspetti prettamente audiovisivi mantiene comunque evidentemente lo sforzo maggiore nella tessitura della trama, nella costruzione del racconto, la struttura della narrazione... Dopo aver chiarito, non si sa mai, che ho visto tutte le puntate di entrambe le serie nel giro di pochi giorni, quindi direi che mi è piaciuto, posso scrivere che  si tratta quindi, come dice il nome (che, tra l’altro, è stato una delle caratteristiche che mi hanno spinto ad utilizzarlo come esempio) di romanzo, dichiarato come tale, quindi fiction autocertificata, un'operazione corretta e di qualità oltre che precisa e cosciente  del proprio essere commerciale, con tutto quello che ne consegue. Non a caso, infatti, detto elaborato è il rifacimento audiovisivo di un romanzo.


Spettacoli dell'intelligenza collettiva

Tutto questo per comunicare semplicemente che il senso profondo di queste pagine non si può riassumere con il vecchio motto VT is not TV (cioè il videotape non è la televisione) in quanto se è vero che l'arte video non è quello che generalmente si pensa per televisione, è altrettanto vero, anzi auspicabile, che questa possa occupare spazi televisivi (quindi diventare "altra" televisione). È vero, allo stesso tempo, che non è affatto detto che la televisione tradizionale, come il cinema di parola, non possano essere modalità di espressione artistica. Semplicemente si tratta di altro: qualcosa in cui l'elemento audiovisivo, se anche elaborato e qualitativo, resta un supporto, un gregario, quindi più vicino a una forma complessa di artigianato che all'arte intesa nella pienezza di questo termine. Quì infatti non importa tanto valutare quale modalità d'espressione sia oggi la più ‘avanzata’ artisticamente, anche se sarebbe facile suggerire delle ottime referenze per le forme d'arte che trattiamo, bensì di imparare a distinguerle e perciò preservarle dalla confusione, quindi da fallaci chiavi d'interpretazione. Seguendo invece da quanto dichiarato da Pierre Levy si può dedurre che le arti multimediali, come eredi odierne delle istanze delle avanguardie, non intendono sostituire il linguaggio verbale, bensì svilupparne altri (a questo comparabili) ... Levy parlava di «linguaggi dimenticati» e sicuramente queste forme artistiche ultramoderne hanno la capacità di far riemergere processi esperienziali antichissimi, capaci di dialogare con l'inconscio profondo dell'umanità. Io aggiungerei che, oltre a quelli dimenticati, queste arti devono perseguire la possibilità di scoprire linguaggi e quindi confini della conoscenza ancora poco o per nulla praticati. Tali ‘scoperte’, praticabili solo in modo altro dal linguaggio verbale (che costituisce, almeno fino ad ora, il principale veicolo di senso in dotazione all'umanità, dove principale sta per ‘più usato’ e non per p iù potente), sono comunque ricodificabili dal fruitore, esattamente, lo scrivevamo in precedenza, come un ideogramma.



Romanzo Criminale (SKY fiction) La Banda della Magliana


Di certo non si può pensare che la verbalizzazione di enunciati, i quali si scollano volontariamente dalla dimensione verbale, per trovare ulteriori possibilità di produzione di senso, possa effettivamente tradurre la stratificazione dei significati da essi portati. Il lavoro di traduzione è sempre opera d'interpretazione: il critico che studia la fenomenologia delle forme di comunicazione e significazione delle arti contemporanee e la interpreta, diviene di fatto mediatore culturale tra i ‘nuovi linguaggi’ e quelli verbali diffusi nella società (le lingue). Le ‘esperienze cognitive’ che emergono dal mondo dell'arte diventano patrimonio a disposizione  dell'intera umanità. Sarebbe sicuramente fuorviante suppore l'auspicabilità dell'ipotesi che linguaggi nati dall'esigenza dell'uomo di esprimere idee al di là delle parole, dove le parole non bastano e la verbalità s'inceppa, quando il messaggio verbale resta distante e generico, possano concretamente essere tradotti alla lettera. Sappiamo già che ogni traduzione, anche quelle tra linguaggi verbali (perfino tra due lingue dello stesso ceppo linguistico), non esiste per riportare ‘esattamente lo stesso’, ma più verosimilmente per riadattare e quindi ri-immaginare il messaggio in altro codice. L'operazione diviene enormemente più complessa se pensiamo ai tentativi di ricodificazione verbale di esperienze tali da comunicare in modi totalmente altri come quelle offerte’ dalle opere d'arte di cui trattiamo. La cosiddetta ‘critica’, intesa come analisi teorica del senso e la ragion d'essere delle espressioni artistiche, assolve alla funzione di traduttore, svolgendo il difficile e necessario ruolo di stabilire degli avvicinamenti tra linguaggi a volte enormemente distanti. Non è tenuta, perchè non può e non deve, a imporre chiavi di lettura univoche o in presunzione di totalità, ma cercando di trovare le parole per portare parti sostanziali del messaggio alla comprensione dei più, favorisce lo sviluppo collettivo della conoscenza. È infine importante notare che nel medesimo discorso Levy diceva anche:
«Mi piacerebbe che arrivassimo a creare dei sistemi a partire da una sorta di dizionario di ideogrammi dinamici preesistenti, dei quali le persone potranno appropiarsi e servirsi per esprimere il loro pensiero.»
Credo si possa sostenere che quanto ipotizzato da Levy trovi una delle più evidenti forme di concretizzazione nella fenomenologia comunicativa di quelle che chiamiamo arti multimediali.

Lino Strangis


 

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