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L'arte è una parola


Ben Vautier, L'arte è una parola (2007)

“Je crois que pour changer l’art il va falloir dire la vérité” e “L’arte è finita. Smettiamo tutti insieme” sono due delle opere protagoniste dell’esposizione visitabile fino al 22 maggio presso la Mara Coccia Arte Contemporanea: la prima di Ben Vautier, la seconda di Giuseppe Chiari, incarnano perfettamente la linea conduttrice della mostra, un percorso attraverso la decostruzione dell’arte come rappresentazione mimetica, operata da artisti concettuali che portano alle estreme conseguenze quella che Filiberto Menna ha definito la linea analitica dell’arte moderna. L’esposizione, realizzata in collaborazione con la Galleria Il Ponte (Firenze), e curata da Andrea Alibrandi, Mauro Panzera ed Enrico Pedrini, si articola in circa venti opere realizzate tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’80 da artisti (Vincenzo Agnetti, Robert Barry, Barruchello, Isgrò, Giulio Paolini a Boetti, citando solo alcuni nomi) che sentono il bisogno di interrogarsi sulle possibilità e la natura della propria pratica, constatando il limite e l’impotenza del linguaggio visivo e verbale rispetto alla realtà e intraprendendo quindi un processo in cui l’opera tende a perdere i suoi tradizionali significati espressivi e rappresentativi per assumere il valore astratto di ricerca linguistica: l’artista non guarda più all’oggetto esterno, ma si ripiega su stesso, facendo un discorso sull’arte nel momento stesso in cui fa arte.


Ed Ruscha, M. Ray, senza data - Ben Vautier, Je crois que pour changer l’art il va failloir dire la vérité (1970)

Nell’Arte Concettuale gli oggetti si riducono a semplici idee, a proposizioni analitiche,  così le opere di Kosuth, come quella esposta in mostra “Titled (Art As Idea As Idea) [orange][It]” del 1968, non rappresentano altro che l’autoreferenzialità dell’oggetto artistico, la sua essenziale tautologicità, per cui il significato non è più cercato nella relazione tra i segni e le cose, ma nella correlazione dei segni tra loro: “Gli oggetti sono concettualmente irrilevanti alla condizione dell’arte”- afferma l’artista in “Art after philosophy”-  ribadendo che l’arte esiste solo per sé stessa e che la condizione artistica è uno stato concettuale. L’assenza di didascalie relative alle opere esposte non è casuale, ma è una scelta consapevole in quanto il “titolo” e  la parola non svolgono più una funzione descrittiva, denotativa, ma diventano protagonisti, creando una vera e propria rottura nella lettura convenzionale dell’opera e mostrando il processo mentale che ne è alla base. Non esiste più la rappresentazione ovvero la riproduzione di un fatto possibile, come afferma Wittgenstein, sui cui paradossi si basa tra l’altro il lavoro sul linguaggio di Bruce Neuman, ma piuttosto la presentazione di possibilità, e come direbbe Kosuth, di concetti, di azioni puramente mentali.

Carmela Rinaldi


L'arte è una parola
a cura di Andrea Alibrandi, Mauro Panzera, Enrico Pedrini
dal 21 aprile al 22 maggio 2010
Associazione Mara Coccia, Via Del Vantaggio 46/a - Roma
www.maracoccia.com

 

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