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Segni di versi

Cosa succede se sette artisti ne invitano altrettanti a esporre una loro opera accanto alla propria, associando ai lavori dei versi poetici? Accade che queste tre realtà si combinino tra loro in maniera altamente suggestiva, producendo dei “nuclei” artistici indipendenti, ognuno composto da tre elementi.  Questo avviene nella galleria Il Segno: sette artisti che vi lavorano con continuità (Bocchini, Giovannoni, Picozza, Toccafondo, Viola, Wolframm, Zamboni) hanno scelto di esporre una loro opera accanto a quella di un altro artista, chiamato per l’occasione: si creano così dei forti legami tra i due lavori, potenziati da un brano di poesia scritto a matita sulla parete, scelto dagli artisti per dialogare con le opere. La galleria ha esposto con intelligenza queste sette coppie: presentare quattordici artisti diversi avrebbe potuto creare una mostra chiassosa e dispersiva. Questo non succede; ogni binomio ha infatti aria intorno, è ben collocato nel suo spazio e non si ammassa con gli altri. Le sette coppie formano dunque dei momenti espressivi autonomi, comunicanti al loro interno, ma isolati rispetto agli altri.  Alcuni binomi sono particolarmente interessanti: uno, per esempio, è introdotto da alcuni versi de “La ballata del vecchio marinaio” di Samuel Taylor Coleridge. Questo poema, che richiama la forza del mare, angosciante e potente al contempo, è il giusto accompagno delle opere di Alberto Zamboni e di Nicola Cicognani. Si tratta, la prima, di un olio su tela; la seconda, di una stampa a getto di inchiostro. Al di là della differenza di medium, le due opere sono speculari, in quanto presentano entrambe una distesa marina e una spiaggia dove un uomo osserva l’orizzonte, solo e distante.  La ballata di Coleridge recita: “… poi anche l’incantesimo si ruppe: verde, di nuovo, rividi l’oceano e l’orizzonte; ma solo un poco di quanto era, potei scorgere; perché mi trovavo come chi cammina su una strada deserta impaurito da un orrendo nemico alle calcagna; ed avendolo una volta già guardato, non osa più volgere il capo. Ma presto il vento su di me prese a soffiare senza un suono o un movimento perché non sulla cresta o nel corpo del mare era il suo corso”.  Il colore del mare, l’aria salmastra, la distesa d’acqua, la malinconia e l’inquietudine con cui ci si volge all’orizzonte, sono evocate da Coleridge e, in contemporanea, dai due artisti. Nella tela di Zamboni, la vastità marina viene rievocata dal colore blu, che trascolora nel grigio e nel nero, incorporando quasi la figura umana nel fondo. Il blu è così carico di colore da colare in basso, sulla superficie gialla della sabbia, che si ritrova così percorsa da rivoli scuri e fitti.  L’immagine di Cicognani si dissocia dalla tela di Zamboni nel descrivere la medesima situazione in maniera meno emotiva, ma vi si accosta ponendo anch’essa l’accento sulla potenza della natura. L’artista fotografa infatti una spiaggia di Rimini, dove su una distesa di sabbia si staglia un unico elemento scuro, un uomo che osserva il mare in lontananza, fragile rispetto alla grandiosità del paesaggio in cui è immerso.  Di pari energia è la coppia in cui è presente Hiroshi Sugimoto, chiamato a esporre da Antonello Viola. Il verso poetico appartiene in questo caso a Federico García Lorca: “Canto il tuo desiderio di eterno limite”. Nulla appare più pertinente per il paio di opere proposte.  Sugimoto presenta un asettico bianco e nero, una fotografia che inquadra in maniera pulita e senza lirismi una distesa marina. Questa volta non si ha il riflettere, come in Cicognani, sulla malinconia e sui sentimenti che la natura può suscitare nell’uomo. È un lavoro tecnico, che analizza il “limite” imposto dal formato fotografico e i modi in cui lo si può eludere. Questo aspetto risulta infatti evidente se si nota come la distesa di mare inquadrata sembri non avere confini, proseguendo idealmente all’infinito.  Una meditazione sui limiti e sul superamento di essi è presente anche in Antonello Viola, il secondo componente della coppia. Nel suo lavoro, un rettangolo turchese domina il centro del foglio bianco. I bordi di questo elemento sono però infranti: il colore non li ha rispettati ed è colato oltre, superandoli e vincendone il controllo. L’artista dà così vita a un’immagine sfrangiata e mutevole, a cui non appartiene più la logica e la regolarità della geometria. Questa seconda coppia si attesta dunque su un tipo di riflessione che si riallaccia al minimalismo: sono due opere efficaci, senza orpelli descrittivi, che richiamano alla mente i lavori di Josef Albers e Kazimir Malevič. Sugimoto e Viola quindi, analizzando la natura del segno pittorico e di quello fotografico, ne indagano i limiti e la possibilità di oltrepassarli. Le altre coppie di artisti sono di pari interesse e originalità, accostando i loro lavori ai versi poetici prescelti in maniera di volta in volta inusuale e intrigante. La mostra rimane allestita fino a metà luglio, perché dunque farsi sfuggire l’opportunità di andare a vederla?

Francesca Castiglia


Segni di versi

a cura di Lea Mattarella

dal 27 aprile al 15 luglio 2010

Galleria IL SEGNO, via Capo le case, 4 - Roma

www.galleriailsegno.com

 

 

 

 

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