Sei qui: Home Magazine ARCHIVIO SC MAGAZINE
  • Increase font size
  • Default font size
  • Decrease font size
Cerca

www.sguardocontemporaneo.it

INTERVISTA | Federica Di Carlo


Test d'Identità (2010), courtesy dell'artista

Riferendosi agli ultimi lavori di Federica Di Carlo, esposti nella recente mostra I Saltatori, la curatrice Valentina Bernabei parla di «stile elegante e delicato, capace di trasformare un fatto tragico in pura forza estetica». L’eleganza del disegno, la delicatezza della stesura cromatica sono infatti due degli elementi distintivi dell’arte di Federica, giovane artista romana che mette al centro della sua ricerca temi come l’identità individuale e collettiva, il cambiamento, la scelta, la vita e la morte, la perdita, sublimandoli in immagini intime in cui il corpo ha un ruolo fondamentale e in cui ogni elemento, a partire dal colore, assume significati ambivalenti per lasciare aperta ogni possibile interpretazione. Nelle sue esposizioni più recenti, Test d’Identità (2010) e I Saltatori (2011), Federica associa la pittura alla pratica installativa, la  dimensione intima del dipinto a quella teatrale e spettacolare dell’installazione, recuperando in entrambi i casi la dimensione artigianale e  temporale della manualità, in quanto non solo le immagini dipinte ma anche gli oggetti protagonisti delle installazioni sono realizzati dall’artista.

Domanda | I lavori della tua ultima mostra I Saltatori, nascono dall’elaborazione di un lutto. Quanto c’è di autobiografico nel tuo lavoro?
Federica  Di Carlo | Tutto. Credo che quasi nessun artista sia completamente estraneo alla sua arte. Per me fare arte è come una psicoanalisi. Non riesco a lavorare senza qualcosa di vivo dentro. Per elaborare l'idea de I Saltatori ci sono voluti parecchi anni; era un progetto che si è insinuato nella mia testa dopo aver perso delle persone a me care durante l'adolescenza e forse ho dovuto aspettare di ‘saltare’ io per prima il mio dolore, per poi esternarlo a distanza di tempo con la maturità di un adulto. I saltatori sono un po' come degli eroi; sono tutte quelle persone che mettono in pausa la loro vita a causa della perdita di una persona amata. Perdere qualcuno resetta la vita. Il salto mi sembrava una buona metafora per rappresentare l'elaborazione del lutto. Si diventa saltatori nel momento in cui ci si lascia alle spalle la condizione di oblio e si inizia la discesa. Per questo ho scelto di rappresentare l'istante esatto della parabola dove il corpo è ancora sospeso ma allo stesso tempo in procinto di cadere.


I Saltatori (2011), courtesy dell'artista

D. | Fare pittura oggi è difficile perché è un genere che tende ad essere emarginato o considerato anacronistico. Come mai hai scelto la pittura? Pensi che possa ancora dire qualcosa di nuovo?
F. D. C. | Certo, perché non dovrebbe? Possiede ancora quella forza di intrappolare in una sintesi un pensiero intero. E' un materiale come un altro e,  se usato in questo senso,  è molto più che sincronistico.

D. | C’è un’opera alla quale ti senti più legata e perché?
F. D. C. | Sicuramente Identity, che feci durante il mio secondo anno all'Accademia di Bologna, è un quadro che tratta l'identità soggettiva applicata a quella collettiva. E' un lavoro che, oltre a  darmi soddisfazioni professionali (con quel quadro vinsi il mio primo premio),  è profondamente legato alle persone a me care, in special modo a mio nonno.


Identity (2006), courtesy dell'artista

D. | Nel tuo lavoro prevale la figura femminile o comunque temi molto vicini alla donna. Ti rispecchi nella definizione di ‘artista femminista’?
F. D. C. | Non lo so, per il semplice fatto che tendo a utilizzare le mie esperienze come spunto per le mie opere e non mi sono mai voluta soffermare sull'etichetta più adatta al mio lavoro. Inoltre le mie tematiche sono l'identità, la morte, il corpo, la vita... tutte molto neutre. Per quanto riguarda la presenza della figura femminile e l'utilizzo di metafore come la gravidanza è spesso pura casualità.  Ad esempio, mi piace la forma della donna incinta e la sua trasformazione ma non mi interessa il tema della maternità in sé; però quando a casa mia è comparsa la  pancia della mia amica ne sono rimasta rapita e ho pensato che poteva essere un buon esempio per parlare di identità in trasformazione, perché davanti a me ne avevo due al prezzo di una! Inoltre la maggior parte delle volte è più facile che una donna accetti di farmi da modella che un uomo, tra l'altro tutti i miei soggetti sono amici o conoscenti, ecco spiegato perché nei miei lavori prevale la presenza femminile. Bisognerebbe chiedersi: “Perché gli uomini non vogliono spogliarsi?”


S.O.I (2008), courtesy dell'artista

D. | Mi sembra che nei tuoi dipinti il colore rivesta un ruolo primario, spesso si vedono delle macchie rosse che sembrano alludere ad un significato sinistro, mi sbaglio?
F. D. C. | E' vero, la scelta dei colori è essenziale, mai casuale e sono sempre un massimo di 5-6 colori. Inoltre mi piace lasciare quelle macchie pure in giro per lo spazio bianco della carta o della tela; è come se fossero l'essenza interiore del personaggio rappresentato e quindi anche la mia. Voglio esteriorizzare anche l'anima se così possiamo chiamarla ed allo stesso tempo non rendere chiaro allo spettatore di cosa si tratti. Se quel rosso acceso e quella colatura ti rimandano a qualcosa di sinistro dipende solo da te, io insinuo piccole provocazioni, lo spettatore deve fare il resto.

D.| Il tuo percorso si concentra esclusivamente sull’immagine o ti piace sperimentare nuove tecniche?
F. D. C. | Come hai visto nelle mostre del 2010/2011, ho aggiunto alle opere cartacee piccole installazioni; questo perché l'immagine (che trovo fondamentale) a volte ha bisogno di un complemento che renda la mostra una specie di percorso e non solo una serie di opere.  Sento che mi serve invadere anche lo spazio tridimensionale con oggetti che siano delle ‘prolunghe’ dei quadri e mi piace vedere se funzionano insieme, se funzionano  materiali che possono esseretotalmente diversi tra loro: linoleum, alluminio, plastica, legno etc.


Installazione Test d'Identità (2010), courtesy dell'artista              Installazione I Saltatori (2011), courtesy dell'artista

D. | Quanta importanza dai alla manualità?
F. D. C. | Tanta. Per me il making è la parte più divertente dell'essere artista ed anche la più soddisfacente. Possiedo un dono, per me è così, di poter creare dalle mie mani qualcosa e mi sembra uno spreco non utilizzarlo!  Spesso mi sono piaciute opere di artisti che le avevano solo ideate (come Cattelan), e lì mi sono chiesta se fossero piuttosto dei pensatori anziché artisti?! Come nel cinema, dove esiste il regista che fa un film e quello che fa il film d'autore, anche nell'arte credo che sia molto più appagante fare l' ‘Arte d'autore’.

D. | La tua formazione deriva da un percorso accademico. Quali sono i tuoi riferimenti nel passato e nel contemporaneo?
F. D. C. | Senza ombra di dubbio ho amato sin da piccola Gustav Klimt, che vidi la prima volta alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma; Le tre età della donna rimane il mio quadro preferito. Mentre durante i miei viaggi all'estero ho iniziato ad appassionarmi ai lavori di Sophie Calle, Kiki Smith e Diane Arbus.

D.| Ripensando alla tua esperienza in Spagna, credi che in Italia sia dato il giusto spazio agli artisti emergenti?
F. D. C. | Oltre alla Spagna, ho vissuto anche a Londra e per un breve periodo a Berlino e tutte le volte mi sono sempre meravigliata dell'incredibile abisso tra noi e gli altri paesi dell'Europa. In Spagna ci sono iniziative, mostre ed eventi artistici in continuazione e gli spazi per gli artisti giovani sono ovunque, per citarne qualcuno di Barcellona: LA CAPILLA, XINART, HANGAR. Se poi ci spostiamo in Inghilterra, è evidente che per loro lo studente d'arte è già a tutti gli effetti un artista; difatti gli istituti, le accademie organizzano ogni tot mesi mostre dei loro studenti, alle quali si precipitano galleristi, critici etc. pronti ad aggiudicarsi il talento del momento prima che finisca gli studi. Solo adesso ho notato che anche Roma inizia a muoversi in questa direzione, forse tra una decina d'anni saremo alla pari.

D. | Quali sono i tuoi progetti futuri?
F. D. C. | A maggio parteciperò all'asta organizzata dall'Associazione Fabula in Art (fondata a Roma da Alberto Michelini, Alessia Montani e Bianca Alfonsi), dove le opere donate per l'occasione saranno esposte dal 17 maggio al 14 giugno (giorno di battitura dell'asta) presso i Musei di San Salvatore in Lauro. Tra gli artisti affermati che hanno scelto di unirsi all'iniziativa ci sono Shirin Neshat, Patrizia Guerresi Maimouna, Mimmo Paladino ed accanto a loro artisti emergenti come me; inoltre nella mostra verranno esposti anche una selezione di disegni di bambini delle scuole elementari che hanno partecipato all'iniziativa. Il ricavato delle opere vendute andrà alle popolazioni africane dello Zambia, all’India, ad Haiti ma anche all’Italia. Mi piace tantissimo questa iniziativa e sono molto emozionata.

Carmela Rinaldi

Federica Di Carlo (www.federicadicarlo.com) è nata a Roma il 23 gennaio 1984. Vive e lavora tra Roma e Barcellona. Iscrittasi all’Accademia di Belle Arti di Roma nel 2003, al secondo anno ha ottenuto una borsa di studio Erasmus alla Escola Massana di Barcellona. Ha frequentato il terzo anno di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e concluso il suo percorso di studi a Roma, conseguendo la laurea nel 2007.Tra le sue mostre personali, ricordiamo Test d’Identità, a cura di Federica Alderighi,  alla Torretta Valadier (22-28 gennaio 2010), I Saltatori, a cura di Valentina Bernabei, alla Casa Internazionale delle Donne (13 gennaio - 8 febbraio 2011).

 

Pubblica questo Articolo

Facebook Twitter Google Bookmarks RSS Feed