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Tea Mäkipää - Domesticated Nature


Link
(2009), courtesy Z2O

L’esercizio del giudizio critico impone un compromesso fra il gusto personale e l’analisi più ampia e ragionata dell’opera. Per ‘gusto personale’ intendo quel moto un po’ istintivo e sentimentale che al primo sguardo ti fa spesso dire ‘no, proprio non mi piace’ oppure ‘fantastico!’; quando parlo invece di ‘analisi più ampia e ragionata’ il riferimento è a quell’insieme di qualità formali, stratificazioni di senso, originalità, livello di riflessione e collocazione all’interno dei processi artistici che l’opera propone. L’equilibrio fra il giudizio immediato e quello mediato – tanto per sfruttare l’assonanza fra i due opposti – non è facile da individuare, e varia costantemente in base alle esperienze visive, ai cambiamenti sociali, economici, tecnologici (e non da ultimo personali) che inevitabilmente interferiscono con la produzione artistica e il pensiero dell’uomo. È per questa serie di ragioni che ancora non sono riuscito a farmi un’idea precisa sulla mostra di Tea Mäkipää alla galleria Z2O. Diciamo che tutto l’impianto visivo messo in piedi dall’artista finlandese (per la prima volta in Italia) cozza decisamente con il mio ‘gusto’: il clima smaccatamente artefatto dei lavori e un senso estetico votato all’eccesso immaginifico non sono esattamente gli indirizzi che solitamente prediligo. Qua e là gli esiti cui Mäkipää approda ricordano lo stile di La Chapelle, analogia favorita dall’utilizzo dello stesso medium, la macchina fotografica (con generosi ritocchi); talvolta invece viene spontaneo l’accostamento ai russi di AES+F, anch’essi autori di ’montaggi’ fotografici ambientati all’interno di scenari futuribili ‘digitalmente modificati’. In ogni caso siamo sempre sullo stesso orizzonte operativo: sia Tea Mäkipää che gli altri artisti citati sono essenzialmente degli image makers, abili a servirsi del mezzo fotografico senza curarsi minimamente del ‘qui e ora’, dell’adesione al reale e di altre specificità – spesso sopravvalutate – che hanno contraddistinto buona parte della storia della fotografia fino all’avvento del digitale. Da questo punto di vista l’artista finlandese non propone nulla di particolarmente nuovo. Tuttavia vi sono tracce importanti nel lavoro di Mäkipää, segnali che meritano d’essere accolti e valutati. E, anche se lo ‘stile’ utilizzato non è vicino alla sensibilità di chi osserva e giudica, dobbiamo fermarci un attimo e capire perché e in quale modo vengono impiegati certi espedienti formali. In questo senso il titolo della mostra, Domesticated Nature, offre già una chiave di lettura inequivocabile: in effetti i lavori dell’artista finlandese altro non sono che universi immaginari – assemblati mediante un collage ‘photoshopgrafico’ – all’interno dei quali è evidente l’interesse di Mäkipää: il confronto fra uomo e natura. Tale corrispondenza, vero e proprio tòpos artistico, appare risolta un po’ banalmente nei due lavori installati al centro della galleria, World of Plenty e Years After Zero.


World of Plenty
(2005), courtesy Z2O

Nella prima opera (peraltro già esposta in Giappone e negli USA, ma in formato gigante) il mondo creato dall’artista è idilliaco, una sorta di paradiso «circondato da paesaggi intatti, caratterizzati dall’assenza assoluta di ogni forma di tecnologia, industria, urbanizzazione», come recita il comunicato; nella seconda, invece, Tea Mäkipää mette in scena il modello opposto di vita: stando ancora al comunicato, si tratta di una società in cui «gli esseri umani sono persi in uno scenario di caos e vivono in un incubo urbano in pieno declino sociale e morale». Se si guarda solo agli aspetti contenutistici, i due lavori – delle stesse, ampie dimensioni e in aperto contrasto – appaiono impregnati di un ambientalismo acritico e vagamente antioccidentale. Un po’ scontato, a mio avviso. Ma l’aspetto decisivo per la comprensione della poetica dell’artista si colloca sul piano formale, proprio quello che avevo dichiarato essere lontano dal mio ‘gusto’. La natura addomesticata descritta dall’artista non è infatti solo una denuncia retorica, e il modo artefatto con cui è rappresentata appare funzionale ad esprimere altre istanze espressive. Che siano raffigurati bambini o stupri, docili animali o attentatori, che il paesaggio sia idilliaco o perturbante, gli universi opposti di Mäkipää svelano subliminalmente l’artificio che li ha creati e con esso la propria mendacità. Non c’è possibilità di utopia (come annuncia World of Plenty), o di un eventuale imminente tracollo (come denuncia Years of Zero). E tali accentuazioni spingono ad una sintesi ‘realista’ che converge dritta dritta verso il mondo in cui viviamo oggi. Come se, in fondo, l’unico mondo in cui vale la pena ‘esserci’ sia quello presente.


Years after Zero
(2008), courtesy Z2O

Quest’interpretazione trova conforto nel video che conclude la mostra. Link, questo il titolo, racconta la vicenda di una creatura a metà fra uomo e scimpanzé che vive isolata dal mondo civilizzato con la madre, su una piccola isola in Finlandia. La vita frugale di quest’essere ibrido viene turbata dall’arrivo nell’isola di una giornalista della quale Link – così si chiama l’uomo-scimmia – si innamora. La giornalista (ideale rappresentante del mondo e dei costumi ‘occidentali’) seduce Link e gli mostra le possibilità di una vita fatta di piaceri (non vizi, si badi bene), svincolandolo dal controllo autoritario della madre e introducendolo in qualche modo alla scoperta della sessualità. Ma la madre, interpretata dalla stessa Mäkipää, non vede di buon occhio la cosa e, con la collaborazione di una non meglio precisata giovane (anch’essa gelosa del rapporto fra Link e la giornalista) decide di sbarazzarsi dell’intrusa: nottetempo le due rapiscono la giornalista e la conducono in un punto recondito, lontano dall’isola, legata, imbavagliata ed abbandonata a se stessa e per sempre lontana da Link.


Link
(2009), courtesy Z2O

Ecco, a mio avviso il video mostra un indirizzo opposto rispetto a possibili letture semplicistiche del lavoro dell’artista: i limiti imposti da un’eccessiva rigidezza ideologica (incarnata dalla madre, che rifiuta l’idea di una ‘conversione’ di Link) risultano spesso deleteri. E la supposta ‘simbiosi con la natura’ può anche condurre lontani dalla felicità. Trovo che il video, anche grazie ad un montaggio inusuale (con movimenti scattosi dei personaggi che generano delle scie sfocate), declini il rapporto uomo/natura in termini complessi e in cerca di soluzione, offrendo una chiave di lettura che riscatta innegabilmente la mostra da interpretazioni riduttive. Ed è in questo momento che la poetica di Tea Mäkipää assume contorni meno stereotipati. Al di là di ogni gusto personale.

Saverio Verini


Domesticated Nature - Tea Mäkipää
a cura di Claudia Löffelholz

dal 18 febbraio al 31 marzo 2011

Z2O Galleria | Sara Zanin, Via dei Querceti, 6 - Roma

www.z20galleria.it

 

 

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