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INTERVISTA | Eliana Heredia


Ph. di Elettra Mallaby

Eliana Heredia usa per il suo lavoro dei semplici sacchi di plastica trasparenti e li riempie d’aria, fino a farli diventare leggeri e fluttuanti elementi che si accomodano nello spazio, riconfigurandolo. Queste plastiche agglomerate trasmettono un’instabilità che non è solo fisica, spaziale, ma anche e soprattutto formale. L’incertezza, il cambiamento perpetuo della natura e il palpitare degli elementi sono resi con un potente e allo stesso tempo poetico effetto plastico: plastico e di plastica, appunto, perché di questo materiale si compone l’opera. Sotto alla gigantesca nuvola di buste (circa 1500), una distesa irregolare di bicchieri trasparenti, di varie misure, riempiti di acqua a diversi livelli.


Ph. di Elettra Mallaby

Il dialogo che la nube, bassa e minacciosa, mutevole perché soggetta ad un cambiamento di stato, intrattiene con i bicchieri di plastica, scardina l’effetto della forza di attrazione dal basso verso l’alto, generando un’atmosfera sospesa: l’acqua versata dalla tempesta è così idealmente restituita all’ammasso di sacchetti grazie all’effetto luministico della luce e della rifrazione. Il bianco puro di Turner, al quale Eliana sicuramente guarda, diventa pura trasparenza.

Domanda |  Cosa hai pensato quando sei stata contattata per il progetto Reload dall’Associazione OperaRebis?

Eliana Heredia | Devo dire che la cosa mi ha stupito e sorpreso. Ho subito risposto all’invito con gioia, sono stata veramente molto contenta di far parte del progetto, e quando abbiamo cominciato ad organizzare l’installazione ero molto emozionata, anche perché è la prima volta che espongo in Italia.


Ph. di Elettra Mallaby

D | Come ti è venuta l’idea di realizzare Naufragio?

EH | Il nucleo di questa installazione proviene dal fascino che William Turner, un pittore che sento molto vicino, esercita su di me. Amo molto il modo in cui riporta i panorami naturali reali in pittura, sulla tela, ed il modo in cui riesce a rendere il movimento, l’aria e la luce.

D | Di cosa è fatta la tua installazione, nel senso, quali materiali hai usato?

E.H. | Ho tentato di interpretare la poetica di Turner, traducendola mediante l’uso di bicchieri, acqua e buste di plastica vere. Ho voluto usare la plastica per le sue qualità di trasparenza e di rifrazione della luce. Inoltre intendevo utilizzare oggetti della vita quotidiana, cose che tutti noi comunemente adoperiamo a casa, o ciò che compriamo al supermercato.

D | Ho notato che alcuni bicchieri erano riempiti di un liquido colorato. Cos’era, latte?

E.H. | No, non era latte, ma sapone bianco e rosa.

D | Perché hai messo del sapone nei bicchieri?

E.H. | Non solo per dare diversi riflessi luministici alla nuvola con l’effetto perlescente del sapone, ma anche perché Turner, nelle sue tele, veicola un sentimento che è quello del tragico. E qui, i liquidi colorati stanno per i brutti ricordi che sono dentro di noi. Nello specifico, ho usato il sapone per rendere letteralmente il bisogno di liberarsi dei brutti ricordi che ci intrappolano, o dei momenti difficili della vita: lavarli via di dosso per poter andare avanti.

D | Quindi possiamo dire che la tua opera è simbolica.

E.H. | Si, lo è.


Ph. di Elettra Mallaby

D | E c’è anche l’intenzione di veicolare il tratto più caratteristico della natura, che è la sua variabilità. La natura non è ferma, morta, ma è perennemente in trasformazione. In effetti Naufragio ci ricorda il ciclo dell’acqua: è piovuto, e l’acqua è stata raccolta dai bicchieri, i quali la restituiscono alla nuvola attraverso il gioco di trasparenze. Cambiando discorso, cosa mi dici del luogo? Come hai lavorato in questo spazio?

E.H. | Il posto sembrava il contesto naturale per un’installazione fatta di materie plastiche! Voglio dire, era uno spazio industriale, nel quale molte persone lavoravano, possiede un’aria quotidiana, il ricordo di un passato in cui è stato molto vissuto e utilizzato per la produzione di oggetti. Penso che possegga l’atmosfera della costruzione abbandonata, essendo di fatto un’archeologia industriale. E’ per questo che ha l’aura del rudere. La mia installazione al suo interno ha veramente funzionato!

D | E’ vero, la tua opera era profondamente in dialogo con lo spazio.

E.H. | E tutto era in dialogo con i suoni atmosferici ed elettronici di Netherworld.

D | Lo conoscevi già?

E.H. | No, non conoscevo la sua ricerca musicale sui suoni, ma sono stata molto contenta che le curatrici lo abbiano coinvolto nell’installazione. Ha dato il giusto completamento acustico al lavoro.

D | La tua opera è stata chiamata ‘Neo Romantica’: pensi sia una definizione calzante?

E.H. | A dire il vero non saprei. So però cosa ritengo interessante, ciò con cui voglio essere in contatto e confrontarmi. Non amo definire ciò che sono o quello che faccio con un aggettivo. Non voglio essere etichettata.

D | Se dovessi descrivere la tua opera Naufragio con tre parole, quali useresti?

E.H. | Quello che mi viene subito in mente è la relazione fra uomo e natura. Subito dopo il concetto di tempo, di durata e, naturalmente, i materiali quotidiani.

Laura Giorgini


 

Stormed - Eliana Heredia & Netherworld
a cura di Antonia Alampi e Anna Simone
dal 21 febbraio al 5 marzo 2011
ex officine di via Ghisleri - Roma

www.operarebis.com

 

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