Domanda | In occasione della presentazione della nuova opera The crisis in (not) over, che possiamo ammirare presso il MACRO di Roma fino a giugno, hai parlato della tua esperienza personale e della tua formazione sotto la dittatura, quando la libertà di parola, pensiero e espressione artistica erano negate. In questo contesto hai sottolineato un aspetto specifico del tuo lavoro: l'onestà che hai ritrovato nel disegnare, un modo di esprimere i tuoi pensieri nascosti. Inoltre, hai insistito sull'importanza delle parole e delle immagini allora come ora. Parlaci di queste fasi della tua vita legate alla scelta di operare con il disegno...
Dan Perjovschi | Disegnando mi liberavo e per la prima volta potevo interrogare il contesto e reggere quello che accadeva intorno a me. Avevo trovato il modo di 'avere' una voce. Fin dall'inizio il testo e la parola erano un tutt'uno per me, del resto i miei disegni nascono essenzialmente già con una frase.
Ho avuto una lunga e noiosa istruzione artistica che non aveva nessun punto in contatto con la vita vera. Ero in una bolla: fuori dalla vita sociale e politica, ma anche fuori dal contesto e dalla pratica artistica contemporanea. Questa bolla scoppiò con la caduta del comunismo. Ho dovuto imparare a disegnare, o meglio disimparare a disegnare, per dimenticare la composizione e le regole puramente estetiche ed inventare un nuovo linguaggio. Questo traguardo arrivò anche grazie alle vignette che componevo sulle testate giornalistiche. All'inizio degli anni Novanta la Romania era nel mezzo di un'incredibile boom di diffusione dei media, le riviste si diffusero largamente e la libertà di espressione era finalmente possibile ovunque. Quella situazione, così come la frenesia legata alla nuova realtà politica, influenzò e diede forma ai miei disegni...non lo dimenticherò mai e cerco sempre di mantenere nella mia opera l'amore per la libertà di espressione.
D. | Negli ultimi dieci anni, hai disegnato sulle pareti dei più importanti musei del mondo. Eppure i tuoi lavori sono destinati ad apparire, sparire ed, infine, riapparire sotto altre forme. Sembra non ci sia una forte definizione delle tue immagini: i tuoi disegni ritornano così in vari contesti, tempi e luoghi connessi rapportandosi con le diverse realtà geografiche, politiche e culturali in cui ti trovi ad operare. E' questa sorta di fragilità e temporalità della tua pratica a rendere le tue opere così contemporanee e uniche allo stesso tempo?
D.P. | Uso anche l' umorismo in maniera intellettuale. Combinato con la fragilità dei miei progetti potrebbe connotare una sorta di unicità...Scherzo spesso ammettendo di fare ''progetti temporanei con pennarelli permanenti'', ma ciò che, credo, renda la mia arte originale è il mio enorme piacere nel disegnare. Amo disegnare e credo sia evidente dalle mie esposizioni. Non lo faccio per il mercato dell'arte, non lo faccio per il curatore, e nemmeno per la storia dell'arte. Mi piace, voglio capire e conoscere le cose attraverso il disegno, che è la forma più naturale di espressione. Le persone la riconoscono istantaneamente. Il resto è legato al gesto: disegnare, cancellare, tracciare di nuovo, modificare, sistemare, combinare, etc... tutto si fa nel tempo e con il tempo. E' il risultato del mio adattamento con la pressione di una vita in movimento. Less is more, posso disegnare ovunque e in qualunque momento. Non ho bisogno di nient'altro.
Dan Perjovschi, The crisis is (not) over, installation view. Courtesy the artist
D. | I tuoi disegni riguardano la dimensione pubblica e privata, le conseguenze degli eventi politici e sociali sulle condizioni di vita quotidiana. Il pubblico rimane spesso sorpreso dal tuo lavoro proprio per questa interpretazione chiara, semplice e tragicomica della realtà dei nostri giorni. Cosa speri? I tuoi disegni sono solo un gesto di denuncia fine a se stessa, o credi siano utili per una presa di coscienza? Penso, ad esempio, al fatto che I tuoi disegni vengano coperti alla fine della mostra, o che possano essere accidentalmente cancellati dal passaggio dello spettatore o dalle condizioni ambientali esterne...quali sono le tue aspettative nei confronti della percezione del pubblico verso le tue opere?
D.P. | Spero che possa trovare attraverso le mie idee anche le tue proprie idee. Spero di affidare allo spettatore la responsabilità del suo contesto politico e sociale. Spero in un cambiamento. Spero in un cambio di coscienza e in una più profonda e responsabile comprensione del mondo. Voglio fare ridere e pensare allo stesso tempo. Il fatto che una persona possa accidentalmente modificare il mio lavoro o il fatto che alla fine della mostra i disegni vengano cancellati ed i muri ridipinti rende la comunicazione ancora più importante. I miei disegni sono lì per te.
D. | Parliamo dell' ironia, probabilmente la tua modalità preferita di comunicazione con il mondo. E' anche un pretesto, un' opportunità di pensare al lavoro artistico, o meglio all' oggetto artistico e al sistema dell' arte in generale?
D.P. | Sì, mi piace estrarre il potenziale humor dalle situazioni quotidiane ed usarlo ancora per interpretare e capire quelle situazioni. Uso l'ironia non con cinismo, ma con empatia, non in senso distruttivo, ma con una chiaro intento di comprensione. Non conosco nessun altro modo di parlare della natura umana, delle contraddizioni e degli enormi contrasti della società odierna.
Dan Perjovschi, The crisis in ( not ) over, particolare. Courtesy the artist
D. | Hai studiato all' università e dipinto per circa dodici anni. Quando hai deciso di adoperare il disegno come tratto distintivo del tuo lavoro, la pittura – nel senso convenzionale – non ha più avuto molta importanza per te. Tuttavia, ci sono alcuni artisti da cui hai tratto ispirazione durante la tua educazione artistica? Guardando ai temi predominanti nelle tue opere, verrebbe da pensare ai realisti francesi del diciannovesimo secolo, magari Honoré Daumier oppure Toulouse Lautrec, la cui opera è stata spesso interpretata come forte denuncia dei mali della coscienza sociale.
D.P. | Da giovane ero affascinato dal Rinascimento, ma crescendo I miei interessi si rivolsero ai primi maestri tedeschi, ai pittori medievali... In una società chiusa uno comprende e conosce quello che gli è vietato seguire, i modelli che uno dovrebbe evitare. Quindi ad un certo punto diventò più importante ciò che non doveva essere fatto. Non ho avuto veri e propri modelli ma mi guardavo intorno. La scuola d'arte non incoraggiava le mie capacità (facevo caricature dei miei insegnanti!) e di conseguenza non venni indirizzato verso l'opera di artisti come Daumier. In una società comunista a quel tempo, doveva apparire una riflessione e un elogio della realtà attraverso una manipolazione della realtà stessa in propaganda. Non venni mai incoraggiato nell' uso di un linguaggio 'popolare'. I cartoni e la stampa illustrata erano considerate arti minori. Ora che ci ripenso, mi sembra così paranoico, e lo era. Ho dovuto reinventare una modalità di discorso semplice e accessibile a un largo pubblico: ho dovuto recuperare il disegno come strumento di comunicazione, ho perso molto tempo...
Dan Pejovschi, The crisis is ( not ) over, particolare. Courtesy the artist
D. | Riguardo la street art: esiste una qualche influenza di queste forme urbane di critica sociale sul tuo lavoro?
D.P. | No. Ho forgiato il mio linguaggio senza l' influenza della street art (del resto non esisteva in una società comunista dove tutto era controllato e censurato). Direi che il mio modo di operare è dal museo verso la strada, non il contrario. I miei disegni hanno più cose in comune con l' illustrazione, ma guardo con interesse aI graffiti e agli stencil come nuovo tipo di narrazione. Mi interessa il potenziale politico dei graffiti.
D. | Un angolo nella hall della grande sala nel Macro, proprio vicino all'entrata hai scritto : <<This is my first exhibition in Rome, but the next one will be much better>>. Come dobbiamo intendere questa tua frase: è legata alla realizzazione del tuo lavoro nel museo o magari alla particolare situazione politica e sociale italiana con cui sei venuto in contatto?
D.P. | Si tratta della beffa autoironica dell'artista contemporaneo ( me stesso in questo caso ) che sempre promette di più, prendendosi gioco di chi nel sistema dell' arte pretende di essere il primo, il migliore, il più brillante... Ma contiene anche una qualche verità: la mostra alla fine scompare e la prossima sarà unica e, perciò, migliore. Come sempre i miei disegni hanno più interpretazioni: sembrano molto chiari e semplici, ma se si guarda attentamente c'è sempre di più di ciò che l'occhio coglie.
Nicoletta Guglielmucci e Noemi Montanari
Dan Perjovschi. The crisis is (not) over. Drawings and Dioramas
a cura di Teresa Macrì
dal 5 febbraio al 12 giugno 2011
MACRO - Via Nizza 138, angolo Via Cagliari