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SPECIALE | 54esima Biennale di Venezia: tre sguardi

Offrirvi l’ennesima guida della 54.Biennale di Venezia ILLUMInazioni, non è nostra intenzione, pensavamo più ad una piccola e personale 'gondola di salvataggio', perché di cose ne abbiamo viste tante ma ci sono voluti due giorni di decompressione e purificazione da vernissage per mettere in ordine le carte e i pensieri. E’ giunta l’ora di riunirsi intorno ad un tavolo e confrontarsi faccia a faccia…

 

Nicoletta | Allora ragazze, senza pensarci troppo a lungo, questa Biennale come vi è parsa? Illuminante o più che altro confusionaria?

Claudia | non parlerei di vera e propria confusione rispetto alle scelte di Bice Curiger ma di spaesamento e superficialità. Se il titolo ILLUMInazioni vuole porre l’accento, come sostiene la curatrice stessa, sul «potere dell’intuizione, sulla possibilità dell’esperire attraverso il pensiero favorita dall’incontro con l’arte e la sua capacità di affinare gli strumenti di percezione», le opere esposte non soddisfano a pieno questa necessità. Il punto debole non è solo la validità dei lavori presentati ma il pretenzioso obiettivo di individuare un approccio interpretativo comune, o meglio la volontà di usare dei macro concetti («opera d’arte come veicolo visivo di energia», cito sempre Curiger) come escamotage per restituire coerenza e uniformità. E se ci fossero state altre opere, cosa sarebbe cambiato? Penso sia normale che in occasione delle grandi rassegne d’arte, come la Biennale, sia molto difficile individuare una linea comune di pensiero che giustifichi, in un modo o nell’altro, delle specifiche scelte curatoriali, ma in questo caso non ho percepito neanche un piccolo tentativo da parte del pensiero della Curiger. Anche la scelta di esporre i lavori di Tintoretto (1518 – 1594) mi è sembrato un atto provocatorio fine a sé stesso, un atto che mi ha portato a pensare che forse le opere più interessanti fossero proprio le tele del pittore veneziano...

Nicoletta | Le obiezioni o meglio, le tue interrogazioni rispetto alle scelte curatoriali di Bice Curiger sono condivisibilissime. Anche io mi domando se, oltre l'accezione romantico-illuminista delle intenzioni e del titolo della mostra, con il suo riferimento alle luce e alla forza di un pensiero critico che si proietti dalle opere verso un pensiero individuale, non colonizzato da una visione globalizzante del mondo, le proposte di questo nuovo allestimento nel discorso curatoriale della Curiger abbiano effettivamente generato quel 'potere dell’intuizione’ che, come sostenuto dalla curatrice, si attiva da e attraverso l'incontro con l’arte e con la sua capacità di affinare gli strumenti di percezione.  Se proprio devo pensare ad un’illuminazione interessante, che per me non ha nulla di epifanico ma che forse si presenta più come un’opportunità in una manifestazione mondiale come quella della Biennale, è quella di interrogarsi sull’effettiva possibilità di scambio e stimolo reciproco da parte degli artisti. A volte si colgono nelle opere d'arte di artisti dei differenti paesi, le stesse visioni e questioni che si pongono ad individui geograficamente e culturalmente lontani.
Il discorso quindi dell'identità dell'artista in quanto individuo con delle urgenze da condividere, che poi si riallaccia alle linee tematiche scelte anche per le ultime edizioni, rimane attuale. E ancora l'idea dei Para-Padiglioni diventa, per esempio, emblematica di questa necessità di movimento del pensiero artistico e se vogliamo critico. In finale è questo che dovrebbe fare l'arte, e-movere, uscire fuori dai territori dati, e non solo illuminare…

Simona | Sì, certamente i Para-Padiglioni sparsi tra i Giardini e l'Arsenale, rappresentano la piccola 'illuminazione' e la novità  curatoriale di quest'anno. Nati dall'idea di voler sfuggire al ritmo ripetitivo in cui a un'opera ne segue un'altra, la curatrice svizzera ha invitato quattro artisti di diverse generazioni a creare delle vere e proprie strutture a metà fra architettura e scultura, che potessero a loro volta ospitare all'interno opere di altri artisti. La polacca Monika Sosnowska, il cinese Song Dong, l'americano Oscar Tuazon e l'austriaco Franz West (Leone d'oro alla carriera) hanno concepito dei veri e propri ambienti intimi e hanno dato di conseguenza più dinamicità al percorso espositivo. Lo scambio reciproco tra i diversi artisti è il fulcro di questa operazione, ben delineato nella struttura illusionistica e disorientante della Sosnowka, nella quale sono inseriti l'installazione sonora di Haroon Mirza e le foto in bianco e nero di David Goldblatt su luoghi e protagonisti di eventi criminali in Sud Africa.



Monica Sosnowska, Para-Pavillion (2011)

S. | Personalmente - e non dico di non averci almeno provato! - non sono riuscita a vedere tutti i padiglioni, ci vorrà un’altra spedizione per riuscire a darvi un quadro completo dei Giardini e dell’Arsenale. D’altronde, noi di Sguardo, scriviamo sempre e solo di quello che abbiamo visto e approfondito, e questa volta il tutto richiedeva una dose massiccia di buona volontà e pazienza…

N. | In effetti, questa preview ha visto i Giardini invasi da una fiumana di persone! Che dire della fila interminabile davanti al Padiglione Inglese per l’installazione site-specific di Mike Nelson? Ho 'ripiegato' sul vicino Padiglione Francese non solo per l’impazienza, ma anche per soddisfare le aspettative che nutrivo per l’opera di Christian Boltanski, soprattutto dopo l’anteprima della Fondazione Volume! E la conferma l’ho avuta: l’artista ha portato ad un livello superiore la sua riflessione che l’installazione romana Sans Fin solo in parte rivelava. L’impianto concettuale sempre solido e presente, lo porta qui ad affrontare le medesime questioni con coerenza ed originalità. Credo che alcuni abbiano criticato Boltanski, accusandolo di aver dato vita ad un ambiente meramente scenografico, ma non si tratta solo di questo, di un’ installazione immersiva e spettacolare: la struttura creata per il padiglione regge con forza il pensiero dell’artista: una grande gabbia che ingloba spettatori e li rende parte del meccanismo di scorrimento dei rulli fotografici con immagini in b/n di neonati, negli ambienti laterali i display segnano ad un ritmo incessante le nascite e le morti sotto forma di numeri mentre con un pulsante azionato dal visitatore si può dar vita a nuovi volti assemblati dal caso. Ho trovato meno entusiasmante la provocazione annunciata dell’acclamatissimo duo Allora e Calzadilla, artisti di origini portoricane chiamati per la prima volta a rappresentare il Padiglione U.S.A.: il carro armato rovesciato e le performance dei bei fisicati atleti risulta probabilmente ridondante e facile come proposta, meglio forse il discorso sviluppato negli spazi interni del padiglione sempre sul rovesciamento ironico dei simboli di una nazione che troppo spesso si fa gloriosa caricatura di se stessa. Doverosa la visita al Pagilione Germania, vincitore del premio per la migliore partecipazione nazionale. A Church of Fear vs. the Alien Within, è un vero e proprio oratorio con tanto di altare, panche, feticci religiosi, liturgie sotto forma di video e proiezioni di testi ed immagini,  nonché la summa finale dell’opera e della visione dell’artista tedesco Christoph Schlingensief, morto poco prima che il tutto venisse completato. Totale delusione per il Canada e Premio Simpatia per il freschissim, a tratti ingenuo, Padiglione Venezuelano. Piccolo consiglio e passo la parola: all’Arsenale per riprendersi, dopo il Padiglione Italia, immergetevi tra i profumi cinesi negli spazi suggestivi del Padiglione curato da Peng Feng…

C. | Nel caos e l’eccitazione che si percepiva ai Giardini nei giorni dell’inaugurazione sono riuscita a mettere da parte la stanchezza e ad apprezzare forse la metà dei padiglioni presenti, in ogni modo tra quelli che maggiormente mi hanno colpita vorrei ricordarne alcuni…
Il primo padiglione straniero costruito all’interno dei Giardini, quello Belga, è stato dedicato al bellissimo progetto elaborato da Angel Vergara, Feuilleton, ispirato al tema dei sette peccati capitali. Sarà perché il curatore è un artista, Luc Tuymans, che l’installazione del gigantesco schermo nella sala principale è riuscita a supportare in modo autorevole la validità del progetto presentato da Vergara. Nel video proiettato sono montate con un ritmo ripetitivo immagini che parlano della libertà di espressione e delle restrizioni che sempre più spesso si ritrovano nelle nostre culture: un Berlusconi ferito dalla Madunina è accostato al più famoso intellettuale italiano, Pasolini. Questa dimensione straniante è sottolineata dall’intervento del pittore che dipingendo sulle immagini crea dei video-quadri, quasi a voler simboleggiare un tentativo di intervento (forse fallace?) nelle nostre forme comunicative.
La tematica estremamente attuale della libertà di parola è anche il concept principale della mostra collettiva Speech Matters, curata da Katerina Gregos e ospitata nel padiglione danese. L’esposizione raggruppa 18 artisti internazionali appartenenti a diverse generazioni, interessantissimo è l’ampio ventaglio di possibilità espressive presentate: fotografia, pittura, istallazioni, fumetti ed animazioni.
A completare la ricca proposta del Padiglione Danese sono tre progetti esterni, tra cui quello dell’artista tedesco Thomas Klipper (1956) che ha costruito il Pavilion for Revolutionary Free Speech, utilizzando materiale di recupero proveniente dall’ultima edizione della Biennale di Architettura (2010). Qui in uno Speaker’s Corner sono stati realizzati (e lo verranno in seguito) degli eventi dedicati al tema della libertà di parola; l’aspetto ironico e provocatorio di questo intervento è esemplificato soprattutto dal pavimento del Pavilion, dove sono raffigurati i volti di personaggi famosi (da Angela Merkel, Giulio Andreotti, Silvio Berlusconi, Daniela Santachè alla stessa Bice Curiger), dando la possibilità  ai visitatori di calpestarli nel vero senso della parola.
Vicino a quest’ultima idea è l’intervento dell’artista danese FOS (1971), che ha realizzato uno spazio di scambio culturale (con un bar, un palco per concerti e dibattiti) collocato fuori dai Giardini, in cui i visitatori possono accedervi gratuitamente per partecipare agli eventi.
Ancora sul pensiero e su un approccio che vuole scardinare totalmente la cristallizzazione della comunicazione è l’opera di Thomas Hirschhorn, che occupa in maniera invadente l’intero Padiglione Svizzero. Crystal of Resistance è un’ installazione site specific in cui una serie di materiali diversi vengono assemblati gli uni sugli altri, chi vi si immerge si stupisce ad ogni angolo: sedie e ciclette ricoperte di carta argentata, pezzi di bottiglie e lattine letteralmente 'scocciati' insieme, ancora tappeti arrotolati, cellulari, finte stalattiti creano un mondo delle meraviglie che non esiste nel nostro immaginario, un mondo che vuole e deve scioccare. Infatti è l’artista stesso ad affermare: «con il mio lavoro voglio elaborare una forma che crei le condizioni per pensare qualcosa di nuovo. Deve essere una forma che sostanzialmente renda possibile pensare».
Sicuramente degno di nota è il Padiglione della Repubblica di Corea, in cui le opere video e le performance dell’artista Lee Yongbaek mi hanno fatto riflettere su come a volte l’ironia sia una delle armi migliori per disilluderci su determinate questioni che troppo spesso minano le nostre forme di pensiero. Infatti dei simpaticissimi militari si aggiravano per il padiglione e per tutti i Giardini indossando delle uniformi con decorazioni floreali, destando stupore e contemporaneamente sostenendo una critica (secondo me tagliente) alle problematiche socio-politiche dei nostri tempi.

S. | L'imponente e meraviglioso Padiglione dei paesi nordici della Norvegia, Svezia e Finlandia di Sverre Fehn (architetto norvegese, morto nel 2009) si presenta quest'anno con un nuovo format: a rappresentarlo sono solo due artisti svedesi Fia Backström e Andreas Eriksson, che lavorano in dialogo tra loro, giocando con spazio architettonico e natura. I dipinti realizzati con elementi naturali e i tronchi d'albero posizionati all'interno, emanano un forte impatto visivo, collegandosi perfettamente con l'intero contesto. E' valsa la pena, nonostante la lunga attesa per entrare, ammirare il Padiglione del Giappone rappresentato da Tabaimo, (il cui vero nome è Ayako Tabata) artista di Kyoto, che ha creato amimazioni scenografiche ispirate alle tradizionali illustrazioni ukiyo-e, architetture, oceano e fiori che sbocciano invitano lo spettatore a tuffarsi in una partecipazione interattiva con lo spazio circostante. Vorrei inoltre segnalare il Padiglione Spagna che ospita il progetto ambizioso di Dora García dal titolo L'inadeguato, Lo inadeguado, The inadequate, dove l'artista ha previsto per tutto il periodo della Biennale, un programma folto di incontri e performance ogni giorno dedicato ad un tema differente. «Lo inadeguado mira a sostituire l'idea di mostra con quella di occupazione, l'idea dello show di un artista con quella di un teatro di esibizioni, l'idea di un padiglione nazionale con quella di un padiglione che si riconosce in uno specifico paese in uno specifico momento storico». Interessante l'idea di fondo, ma poco comunicativo a livello espositivo.
Per ultimo il Padiglione IILA (Istituto Italo-Latino Americano), ubicato all'Arsenale con la mostra Entre Siempre y Jamás, dedicata al Bicentenario dell’Indipendenza latinoamericana. Gli artisti invitati hanno raccontato le trasformazioni avvenute in ambito politico, sociale e culturale vissute dagli Stati americani esplorando luoghi d'entroterra e grandi metropoli moderne. Perfetto l'allestimento a forma 'basilicale' e opere di grade impatto emotivo, come il video di Martín Sastre, artista uruguaiano che davanti al Reina Sofia di Madrid inscena un ballo con un finto Obama, molto sarcastico.


Thomas Klipper, Padiglione Danese

C. |  Non possiamo non affrontare l’argomento più spinoso: il Padiglione Italia

N. | Non voglio dilungarmi oltre sulla questione, se ne sono dette e viste di ogni. Quello che più mi ha infastidito nell’agire e soprattutto nello straparlare del Vittorione nazionale è stata la sua totale mancanza di rispetto per il lavoro del curatore, una figura che per lui non ha la stessa dignità dello storico dell’arte tout court? Non so se Sgarbi ignori il fatto che, la maggior parte delle volte, le due professionalità coincidono e contribuiscono in egual misura alla messa in moto di un discorso ricco di contenuti e spunti per riflettere sull’arte e su questioni contemporanee. Ancora più circensi, poi, le sue infinite dichiarazioni sulla mega provocazione messa in atto dalla sua mente geniale per mostrare come il mondo dell’arte sia retto da una serie di meccanismi malati e circoli viziosi incapaci di riconoscere la realtà dell’arte contemporanea in Italia…dichiarazioni mai argomentate, ma sempre e solo strillate.

S. | Io penso che Sgarbi abbia voluto togliersi qualsiasi responsabilità di scelta, per lui tutto è arte contemporanea, ma non ne capisce il senso. Qualcuno di voi ha avuto la possibilità di soffermarsi sulle opere? La fruibilità è a un livello sotto zero, data anche l'altezza a cui sono state sottoposte le opere, addirittura un artista non riusciva a trovare un suo dipinto..!
E poi tutto questo astio verso i curatori..ma non c'è scritto forse 'a cura di Vittorio Sgarbi'?

C. |  Lungi da me l’apprezzare il risultato finale del Padiglione Italia, devo dire che l’idea iniziale non era affatto malvagia, insomma un diverso approccio che se avesse avuto una adeguata organizzazione avrebbe probabilmente offerto uno sguardo nuovo e diverso. Ad esempio l’idea di frammentare il resto del Padiglione Italia per tutta la penisola poteva essere una buona possibilità per offrire un monitoraggio della situazione artistica nazionale (cosa che non è accaduta a Venezia) ma staremo a vedere con le prossime inaugurazioni...

N. | Alcune delle cose più interessanti ed emozionanti le abbiamo trovate fuori, in spazi esterni ai giardini… Sono rimasta piacevolmente sorpresa dalle proposte dei padiglioni delle nuove partecipazioni nazionali, in particolare, dalle Parabole tracciate dagli artisti del Bangladesh in perfetto dialogo con gli spazi della Fondazione Gervasuti. Narrazioni senza troppe sovrastrutture quelle di Promotesh Das PulakKabir Ahmed Masum Chisty, Imran Hossain Piplu, Mahbubur Rahman e Tayeba Begum Lipi, interpreti attenti ma diversi di un contesto sociale, culturale e ambientale dalle molte e affascinanti sfaccettature. Da non perdere, sempre negli spazi della Fondazione Gervasuti, il Padiglione Iraq con l’esposizione Acqua Ferita. Due generazioni di artisti iracheni a confronto su un tema che vede non solo lo sviluppo di un discorso di denuncia di una situazione di emergenza per un paese attanagliato da grandi difficoltà, ma anche l’insistenza su altre urgenze che, soprattutto gli artisti della seconda generazione (Adel Abidin, Ahmed Alsoudani e Halim Al Karim) cresciuti a ridosso del conflitto con l’Iran, mettono in gioco a partire da questo spunto tematico.

S. | Vorrei aggiungere che Acqua Ferita è un progetto che nasce nel 2004, un vero e proprio lavoro di squadra fra gli artisti, che hanno lasciato il loro paese nel 2003 e hanno trovato rifugio in Europa e in America. Le opere sono state realizzate in loco e ispirate all'acqua, tema quanto mai più vicino alla nostra situazione attuale. Rappresentativa è la video installazione Destnuej di Azad Nanakeli che utiliza l'acqua come mezzo di purificazione del proprio corpo.


Azad Nanakeli, Destnuej (2011)

Emergente anche il Padiglione Andorra che è rappresentato da soli due artisti: Helena Cuàrdia Ribó e Francisco Sánchez le cui opere si basano «sull'analisi degli aspetti legati alla soglia della percezione». La ciutat flotant di Helena Cuàrdia Ribó è il risultato di immagini della città deformate dall'uso di uno specchio concavo di 50 cm di spessore, in questo modo la percezione della realtà viene completamente alterata. Una nuova visione e una nuova consapevolezza del mondo che ci circonda. Francisco Sánchez invece, presenta L’Efímer i l’etern, un  trittico concepito come installazione, accompagnato da un video che ritrae lo stesso artista nel suo studio. Rapito dalla luce di Turner e dalla travolgente fantasia di Dalì, Sanchez ci offre un'universo onirico, un mare in tempesta che sottolinea tutta l'energia del disegno.

C. | Assolutamente d’accordo con quanto detto sopra, vorrei ricordare anche il Padiglione del Montenegro, che con la mostra The Fridge Factory and Clear Waters, ha presentato il progetto internazionale  del Macco Centinje - Marina Abramović Community Center Obod Centinje che vedrà la conversione della preesistente fabbrica di frigoriferi Obod a Centinje in un centro artistico dedicato alla produzione di molteplici forme d’arte, dalla performance alle arti visive, dal teatro alla danza, dal cinema al video. In mostra i lavori di Ilija Soskic e Natalija Vujosevic e un video della stessa Marina Abramović per illustrare le motivazioni del progetto.
Notevolissimo anche il progetto Infr’Action Venezia 2011, svoltosi durante i giorni dell’inaugurazione sia in giro per la città che nel bellissimo cortile dell’Accademia delle belle arti. Questo evento dedicato alla performance art ha visto la partecipazione di più di trenta artisti provenienti da tutto il mondo, è stato una delle esperienze più interessanti che ho vissuto durante la febbrile atmosfera della Biennale e purtroppo una delle meno considerate… Tra tutti vorrei menzionare il lavoro dell’artista birmano Nyan Lin Htet che con la sua performance ha saputo emozionare il pubblico mettendo in scena una vera e propria richiesta d’amore.


Marya Kazoun,They were there (performance), Glasstress (2011)

S. | Tutta la città era un focolaio di mostre ed eventi collaterali, legati alla Biennale. Con l’evento collaterale Glasstress al Palazzo Franchetti, ho potuto rifarmi gli occhi. Alla sua seconda edizione, si riconferma una mostra davvero sensazionale. I maggiori artisti contemporanei tra cui  Tony Cragg, Jan Fabre, Zhang Huan, Vik Muniz, Urs Luthi, si sono confrontati con un materiale famoso nella città di Venezia, ovvero il vetro.  Il tema prevedeva il complesso rapporto che, in un’epoca che si ritiene sia andata oltre il modernismo, lega arte, design e architettura. Quindi il rapporto tra l’uso formale di un oggetto e la sua peculiarità artistica, come fonte di dialogo e d’indagine sul vero significato dell’arte nei nostri giorni.
Altro evento collaterale è la mostra Pino Pascali. Ritorno a Venezia – Puglia arte contemporanea, al Palazzo Michiel dal Brusà, che ha  portato a Venezia alcune opere, sconosciute al pubblico, dell'artista pugliese che vinse il Premio per la Scultura nel 1968. Tra mare, cielo e acqua famosi artisti contemporanei (Bill Viola, Jan Fabre, Studio Azzurro e altri) esplorano la materia. In mostra anche la realtà artistica pugliese protagonista di Intramoenia Extra Art, esperimento di museo temporaneo diffuso, volto ad una nuova modalità di turismo culturale. Artisti giovanissimi di tutto rispetto, (in particolare cito Daniela Corbascio), che si sono confrontati con lo spazio ospitante, in un dialogo perfetto con le opere di Pascali. Mi piacerebbe inoltre citare due artisti che a Venezia erano ovunque, ma proprio ovunque. Posizionandosi nei posti più strategici della città, con un tavolino e una limonata fresca, Maddalena Fragnito e Emanuele Braga hanno dato il via a Ritratto d'artista, un semplice diagramma a cerchi concentrici. «Compilando questo diagramma si crea una macchia di colore che rappresenta l’impronta digitale di ogni artista. Ci siamo chiesti quali sono oggi i punti cardinali di riferimento nella costruzione di una carriera artistica». Gli artisti così, colorando gli spazi di loro interesse, danno testimonianza del loro personale percorso  artistico e del loro inserimento nella società.


Maddalena Fragnito e Emanuele Braga, Ritratto d'artista

N. | D’obbligo anche una visita a Palazzo Grassi per la mostra Il mondo vi appartiene, a cura di Caroline Bourgeois. A mio avviso, uno degli allestimenti meglio riusciti della collezione Pinault e in un certo senso molto più sorprendente di quelle illuminazioni proposte in biennale rispetto ai grandi temi della geografia dell’arte, del rapporto dell’artista con il mondo globalizzato, delle storie individuali e collettive di generazioni e background diversi…Tra le altre sedi istituzionali, segnalo La Fondazione Querini Stampalia con un forte e nel contempo delicato, dialogo tra le opere di Marisa Merz e quelle della collezione e, sempre nei meravigliosi spazi della fondazione che portano la firma di Carlo Scarpa,  la presentazione dell’opera vincitrice del Premio Furla di quest’anno, Viaggio in Italia del giovane artista-esploratore Matteo Rubbi. Mentre, se proprio vi doveste trovare a passare dalle Zattere, non sentitevi in dovere di visitare la mostra collaterale Mabel Palacin:180° una noiosissima installazione che non innesca riflessioni di nessun genere, presentata come paglione nazionale – si fa per dire – della Catalogna e delle Isole Baleari. Nel caso la curiosità vincesse sulla spossatezza, potreste andare a visitare nelle vicinanze The Future Of A Promise, che si propone di creare una piattaforma di voci attraverso le opere di alcuni dei principali artisti del mondo arabo, dalla Tunisia all’Arabia Saudita, all' affacciarsi di una cultura visiva mediorientale che mantenga la promessa di una rinascita artistica anche sulla scia delle recenti rivendicazioni sociopolitiche.


Joana Vasconcelos, veduta Palazzo Grassi

C. | Oltre a tutte queste vorrei ricordare anche la mostra Elogio del dubbio nella suggestiva sede di Punta della Dogana, dove vive parte della collezione di Francois Pinault. Sempre a cura di Caroline Bourgeois la collettiva presenta alcune opere mai mostrate al pubblico e pensate appositamente per la sede espositiva; tra quelle migliori Roxys di Edward Kienholz, l’installazione di Roni Horn e quelle di Elaine Sturtevant (forse frutto di una scelta curatoriale giusta data l’intera tematica della mostra),  meno impressionante Maurizio Cattelan (che forse ci ha anche stufato un pochino) e Jeff Koons.


Claudia Cavalieri, Nicoletta Guglielmucci e Simona Merra

 

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