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RUBRICA | Reflexioni

Quanti di voi, nati negli anni '80, hanno trascorso ore ed ore a giocare a Super mario Br. e a cercare di infilare nei buchi giusti i quadratini del Tetris? Tutti, lo so. Siamo una generazione cresciuta con Mario e Luigi. Personalmente mi son fermata lì. Rimasta alla scatola grigia del Nintendo prima generazione, con i dischetti rettangolari. I miei genitori osteggiarono l'acquisto del nintendino portatile, escludendomi così da molte discussioni a ricreazione.
Praticamente, se il mondo avesse condiviso la ritrosia dei miei per queste tecnologie, oggi la Magnum non avrebbe potuto organizzare, in collaborazione proprio con Nintendo, la prima mostra di fotografia in 3d (che non necessita di nessun occhialetto), scatti visibili sulla console del Nintendo 3DS (Magnum Galleria, rue de l'Abbaye Saint-Germain-des-Près, Parigi).

Martin Parr, Gueorgui Pinkhassov e Thomas Dworzak sono stati chiamati a scattare una trentina di immagini per questa occasione (non so voi, ma io Martin Parr ce lo vedo proprio a divertirsi come un bambino!).
Pare che le foto in sé non siano una serie di capolavori e che manchi un filo rosso a collegare i lavori ma, fondamentalmente, lo scopo della mostra è una riflessione sul nuovo mezzo e sulle nuove 'porte della percezione' che apre allo spettatore.
L'immagine bidimensionale per eccellenza che diventa tridimensionale porta sicuramente con sé un germe di cambiamento. Quello che mi chiedo è se la riflessione di fondo che si può fare, in seguito all'avvento di questa nuova tecnica, sia poi così distante dai temi che riguardano da sempre la fotografia.
Ovvero, il concetto di 'realtà' di una foto, la 'spettacolarizzazione' del dolore, il paradosso che ci si dimentichi cosa si stia guardando e ci si convinca, in fondo, di stare dentro a un videogioco più che a un meccanismo d'informazione.

L'anno scorso, sul sito della National Geographic, è stata pubblicata la rappresentazione multimediale di una serie di fotografie di Marco di Lauro, fotografo di Getty dal titolo: Effetto 3d per il fotografo di guerra.
Di Lauro voleva per il suo nuovo sito una presentazione innovativa e d'impatto
«che lasciasse senza fiato e che al contempo facesse riflettere sulle immagini e il loro significato stimolando una consapevolezza nei confronti della guerra e dei danni che ne derivano».

Insomma, non più solo 'davanti il dolore degli altri' ma proprio 'dentro il dolore degli altri'.

Ritengo che le possibilità di un mezzo del genere siano interessantissime, e concordo con le possibilità che Di Lauro sottolinea.
Ma credo, contemporaneamente, che l'amplificazione dell'effetto di realtà di una fotografia possa rendere ancora più scivoloso il terreno della verità-finzione su cui la fotografia si muove, soprattutto quando entra nel circolo mediatico.
E inoltre, paradossalmente, come accennavo sopra, si può rischiare di rendere tutto cosi 'scenografico' da farci mischiare i piani tra verità e fiction. Dieci anni fa cadevano su loro stesse le torri gemelle, ed il commento più comune era: 'sembrava un film'.

Ho la netta sensazione che valga per il 3d in fotografia la stessa raccomandazione che vale per ogni apparato tecnologico: bisogna usarli, non farci usare.

Bourdieu diceva: « I media forniscono non solo la realtà da osservare ma anche gli occhiali con i quali guardarla».
Oggi degli occhiali, quelli in 3d, sembra che si inizi anche a poterne fare a meno.
Per il resto, come al solito, sta a noi non infilarcene altri.

Valeria De Berardinis

 

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