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BIENNALE | Padiglione Umbria


Sofia Rocchetti, La sedia di Albert (2010)

L’Umbria è una piccola regione, forse per questo sottovalutata. In realtà la scena artistica – e in particolare quella contemporanea – manifesta un certo fermento: ne sono prova il recente Comma Artcity Project ospitato a Perugia, FestArch (festival dedicato all’architettura, anch’esso nel capoluogo), collezioni come il Giardino dei Lauri, la misconosciuta rassegna Scultori a Brufa (che da vent’anni, ogni anno, porta uno scultore di livello internazionale a confrontarsi con il borgo e la campagna circostante), l’attività della Civitella Ranieri Foundation (residenza d’artista dorata) e diverse realtà museali attive e dinamiche. Lasciando da parte il Ciac di Foligno (che ha da poco dedicato una strepitosa monografica a Giuseppe Uncini), una di queste è senz'altro Palazzo Collicola, museo d’arte contemporanea di Spoleto. Ed è proprio là che il prolungamento della Biennale di Sgarbi ha trovato asilo. Partiamo col dire che la mostra presenta due aspetti salienti, uno che la differenzia e uno che la lega al Padiglione-madre veneziano: il primo è l’allestimento, senz’altro più arioso rispetto all’accrocco voluto da Sgarbi; l’altro, invece, è la coerenza nella selezione delle opere, praticamente inesistente (o, quantomeno, difficilmente leggibile). Non so bene quale sia la finalità dell’operazione voluta da Sgarbi per i padiglioni regionali: un’indagine sulle specificità regionali in campo artistico? Un censimento degli artisti in attività? E secondo quali criteri? Ma andiamo con ordine. Il Padiglione Umbria propone 36 artisti, tutti rigorosamente nati nelle province di Perugia e Terni. Anzi no. Ci sono anche degli umbri ‘acquisiti’, nati fuori regione o addirittura fuori dall’Italia, mentre ci sono nativi che risiedono al di là dei confini umbri. A uniformare la scelta interviene allora l’età degli artisti. Neanche per idea: si va dagli 85 di Piero Raspi (classe 1926) ai 24 di Francesco Marcolini (1987). Sarà allora il pareggio delle quote blu e rosa? Pare di no, visto che la rappresentanza femminile è ferma a 8. Sembra, dunque, che la selezione sia stata guidata dalla più totale arbitrarietà. Non solo per le motivazioni ‘anagrafiche’ elencate finora, ma soprattutto perché sembra che a cedere sia l’aspetto più importante, quello artistico: alcuni lavori, infatti, appaiono decisamente fuori contesto, privi di ragioni che diano senso alla loro presenza in quel luogo. Non si tratta di criticare i singoli linguaggi degli artisti, quanto capire il motivo di talune scelte in un’esposizione che si annuncia come ‘lo stato dell’arte regionale.


Sandro Bini, Spaccanapoli (2009)

Cos’hanno di rappresentativo i paesaggi metropolitani su olio di città (che, tra l’altro, non sono nemmeno umbre)? E certe tele simil-surrealiste o tavole che sembrano prese da una copertina di Lanciostory? Tecnicamente ben realizzate, per carità, ma poco o nulla mostrano di nuovo o interessante, sia sotto il profilo formale sia contenutistico.


Pierpaolo Ramotto (2011)

Naturalmente non mancano opere degne di nota; e sono proprio quelle che interpretano meglio un certo genius loci, disseminando qua e là tracce di ‘specificità regionale’, senza precipitare nel didascalico. Su tutti, Marino Ficola, che con l'uso della porcellana si lega alla tradizione ceramica della sua Deruta; ma anche Sofia Rocchetti, che con la creazione di suppellettili non convenzionali strizza l’occhio all’artigianato (presenza molto forte nella sua zona di provenienza, l’Alto Tevere).


Marino Ficola, Corpo (2011)

C’è poi chi, al di là del rapporto con l’identità territoriale, dimostra di portare avanti ricerche personali e originali: è il caso di Sauro Cardinali (inventore di una tecnica particolare: disegna su rotoli di carta o gomma monocromi, arrotolati e srotolati e riavvolti più volte, ottenendo forme sempre inedite e governate allo stesso modo dall’accidentalità e dalla volontà dell’artista) e di Francesco Marcolini (all’insegna del rapporto fra arte e scienza il suo Cyberthanatos, ottimo compromesso fra effetti speciali e uso riflessivo della macchina).


Sauro Cardinali, Le parole, un mistero glottico per poter cantare (1993-2011)

Come si può capire, non è di certo una mostra brutta, semmai deludente rispetto alle aspettative. Pur comprendendo le difficoltà di allestire un'esposizione del genere, avrei puntato su una rassegna capace di estremizzare le specificità locali; magari tenendo in considerazione tre aspetti – utilizzo di materiali, condivisione di tematiche, rapporto con la storia e la memoria del territorio – che avrebbero potuto fungere da paletti e dare una dimensione identitaria. Sarebbe stata un’operazione discutibile, ma almeno capace di stabilire un punto di vista e generare un dibattito. Altrimenti, qual è l’interesse di un padiglione che si dichiara ‘regionale’? Quali le differenze fra il padiglione abruzzese e quello valdostano, per dire? Stupisce, inoltre, vedere come nei padiglioni regionali Sgarbi abbia tradito il principio di quello centrale, a Venezia: perché torna alle logiche che vorrebbe combattere – alle presunte storture del sistema – affidandosi di nuovo ai critici. Come mai una così evidente inversione di rotta? Alla fine emerge un quadro che, apparentemente, non scontenta nessuno. Ma siamo sicuri che lo stato dell’arte umbra sia questo? Per le sale di Palazzo Collicola risuona una voce inquietante, “cos’è arte?”; è un’installazione video (di Simona Frillici), ma sembra un involontario invito a farci riflettere su quanto visto e rispondere di conseguenza.

Saverio Verini


Padiglione Umbria
a cura di Gianluca Marziani e altri

dal 4 giugno al 27 novembre 2011
Palazzo Collicola, Piazza Collcola, 1 - Spoleto (PG)
http://www.palazzocollicola.it/

 

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