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Gli specchi di Paolo Hermanin

Quanta meraviglia nel vedere rocce e nuvole incise su uno specchio, che attraverso il loro moto multiforme svelano allo spettatore la trascendenza della natura, la sua forza e la sua grandezza. Lo specchio é la superficie su cui avviene il miracolo dell’estasi. Rocce e nuvole, l’infinitamente leggero e l’infinitamente pesante, vengono delineati, con estrema acribia, dagli specchi di Paolo Hermanin che, nella sua prima mostra personale a Roma, espone 8 opere create con una tecnica sperimentata venticinque anni fa.  Il suo lavoro inizia da uno specchio che, dopo un procedimento lungo e meticoloso, conserva la sua capacità di riflettere le immagini e nello stesso tempo di contenere l’immagine incisa. Un’operazione lunga e rischiosa che non contempla il minimo errore; infatti i segni, una volta tracciati, non possono più essere eliminati, mostrando così l’estrema complessità di questa tecnica che trova un suo diretto paragone nelle antiche incisioni a bulino. L’avvicendarsi delle opere non è casuale, ma segue un percorso che simboleggia il passaggio dall’ombra alla luce; un passaggio in cui una vasta gamma di sensazioni si traduce in una tensione continua fra il materiale e l’immateriale, il minerale e l’aereo, il pesante e il leggero. Nei primi 7 specchi si può rinvenire un itinerario percettivo di cui la luce è protagonista: si parte dalla percezione di una luce flebile nel primo specchio, per arrivare a percepire una luce accecante nell’ultimo specchio. Tale evoluzione può essere definita come la “Via della Conoscenza attraverso la luce” che consiste, nella filosofia orientale, nell’acquisizione di Coscienza derivata dall’armonia dei punti energetici del corpo umano detti chakra. Queste opere possono essere definite come il frutto di un’esperienza meditativa sulle proprietà di un determinato chakra, comportando così la percezione delle qualità intrinseche dell’opera da parte dello spettatore. Il primo specchio corrisponde al chakra Muladhara, che in sanscrito significa “radice, sostegno”; esso viene associato all’elemento terra simboleggiata da rocce impervie e quasi inaccessibili. La luce vi penetra a stento lasciando solo un esile spazio per volgersi alle nuvole, eleganti e soffici attributi del cielo. Ora la pesantezza è al suo massimo. Nel secondo specchio, che corrisponde al chakra Svadhishthana, cioè “dolcezza”, possiamo notare ancora una forte persistenza dell’elemento roccioso, ma la luce comincia ad impossessarsi dello spazio. Il processo che porterà alla leggerezza assoluta è iniziato. Il successivo specchio, relativo alla “gemma rilucente”, ossia il chakra Manipura, reca in sé l’elemento del fuoco, della volontà e del sapere, rappresentando la sede di un ego costruito ed artificiale, vero e proprio trampolino verso lo spirito. La roccia-materia comincia ad assottigliarsi mentre lo spirito-nuvole amplia il suo raggio d’azione. Alla materia non resta altro che uno sterile contemplarsi. Il quarto specchio coincide con il chakra Anahata, cioè “non colpito, distaccato”. Questo è il luogo in cui si consuma il passaggio dalla materia allo spirito. Le rocce sembrano prender fuoco, decomporsi, favorendo l’accesso dello spirito alla coscienza e perdendo per sempre le loro proprietà materiali. Arriviamo così al quinto specchio, quello corrispondente al chakra Vishuddha, cioè “purificazione”. Qui l’espressività si mostra mediante un processo comunicativo adamantino e copioso. Il fluire delle parole è sicuro e senza ripensamenti, permettendo agli individui di manifestare senza freni le proprie emozioni, la propria essenza, la propria spiritualità. Lo spirito diviene l’imprevedibile demiurgo della materia. Le rocce assumono la forma delle nuvole e di esse divengono il rispecchiamento. Nel sesto specchio si svela il chakra Ajna, che in sanscrito significa “conoscere”. Questo è il luogo dell’onniscienza, della consapevolezza della propria essenza, del raggiungimento dell’unità con il tutto. L’andamento circolare delle nuvole lascia al centro un sole splendente ed accecante, simbolo del raggiungimento di uno stato di Coscienza in cui la luce domina l’ombra e ingloba la materia. Si giunge quindi all’ultima opera della serie equivalente al chakra Sahasrara, ovvero “mille petali”, che esprime lo stato di saggezza universale in cui si ravvisa la capacità di entrare in contatto con le forze presenti nell’Universo. L’individuo e il cosmo sono elementi complementari e complici; qui non esiste ombra, tutto è pura luce, spirito e materia sono diventati un’unità inscindibile: questo è il luogo dell’illuminazione. A concludere la mostra è l’ottavo specchio, rappresentazione simbolica e sincretica dei sette specchi precedenti, che espone il concetto del rispecchiamento attraverso il disegno raddoppiato del Museo che ospita la mostra, vero e proprio percorso verso l’illuminazione dell’essere.

Simone Giampà


7+2 SPECCHI di Paolo Hermanin
6 Settembre - 25 Novembre 2007
Musei di Villa Torlonia, 
Casina delle Civette,
Via Nomentana 70 - Roma
 

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