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Prospect form India (perché parlare di una mostra ormai conclusa?)

La scorsa settimana sono stata all’inaugurazione di una mostra sul lavoro di due pittrici “occidentali”, con nel cuore e negli occhi l’India: Interior &Exterior: i due volti dell’India (ndr. tenutasi al My Cup of Tea Creative Space di Roma, via del Babuino, fino al 5 dicembre); una bella mostra che mi ha fatto però riflettere sull’abissale differenza tra l’arte di chi, perdonatemi il gioco di parole, è dentro e fuori l’India, e che mi ha riportato alla mente una mostra vista circa un mese fa all’Auditorium di Roma, in occasione della Festa del Cinema: Prospect. Contemporary Art From India.  Ma perché, qualcuno si chiederà, parlare di una mostra ormai conclusa, probabilmente annoiando o infastidendo chi vorrebbe invece informarsi su mostre ancora aperte?  Dopo la tanto osannata arte “africana” contemporanea, l’arte contemporanea indiana, insieme a quella cinese, si sta imponendo come nuova realtà emergente del panorama internazionale, a cui l’Italia lentamente si sta avvicinando, dedicando poche (ma buone) occasioni di approfondimento: basti ricordare, ad esempio, la mostra Subcontinente. Il subcontinente Indiano nell'Arte Contemporanea alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo nel 2006; o la recentissima India Arte Oggi allo Spazio Oberdan di Milano.  Prospect ha cercato di mostrare attraverso le opere di alcuni giovani artisti indiani (formatisi per lo più in occidente ma tornati a vivere nel proprio paese) le forti contraddizioni di un paese che dagli anni ’90 in poi, con la liberalizzazione delle politiche economiche, ha mostrato una vertiginosa crescita economica e industriale, scontrandosi con il proprio lato rurale e povero.  Si ripresenta, come è stato - è - e ancora sarà nei sempreverdi dibattiti sull’arte contemporanea africana, la dicotomia global/local, tradizione/modernità: la voglia e la necessità di confrontarsi con la cultura dei (ancora?!)“colonialisti occidentali” per emanciparsi, svincolandosi da tradizioni non proprie, imposte dall’Altro.   Le dicotomie si avvertono più forti che mai attraverso ironie e paradossi, con opere come quella di N.S. Harsha,: in The Beautification of Marcel Duchamp il celebre ready made duchampiano diventa una ruota per carro da buoi che viene fatta schiantare contro un finto fregio commemorativo all’artista; in Global Clones di Sharmila Samant delle vere scarpe Nike cercano di “stare al passo” con delle scarpe artigianali videoproiettate.  Le opere di Subodh Gupta strizzano l’occhio a Johns e alla commoditiy sculture (nel caso di Cow, una bici adibita a trasporto di barattoli di latte fresco fatta interamente in bronzo), o al minimalismo (Untiteled, utensili d’acciaio); quelle di Vivan Sundram (Great Indian Baazar, Re-take of Amrita) al collage a alla fotografia surrealista.  Ma - quello che è sembrato chiedersi la mostra - siamo sicuri che sia ancora profondamente avvertita questa “minaccia”?  Un’opera come Trans- di Tejal Shah (doppio video, doppio atto di trasformazione dell’artista da uomo a donna e viceversa), aldilà dei media usati o dei riferimenti più meno inconsci alla cultura artistica occidentale, si interroga su questioni di genere e sessualità ancora piene di tabù nella cultura indiana. La scultura in resina Petrum Opus di Jitish Kallat, di primo impatto una curiosa citazione di qualche ordine architettonico, parodizza in realtà sui tipici e interminabili ingorghi stradali di cui sono piene le città indiane.  E che dire poi di Pushpamala N, o di KM Madhusudhanan, che riflettono e reinterpretano in chiave innovativa l’eredità linguistica sempre in fieri di Bollywood?   Forse l’arte delle nuove generazioni si sta confrontando in modo sempre più rilassato e disinibito con la cultura occidentale (e anche con le molte rigidità della propria…).  Forse, ma è ancora tutto da vedere, quel compromesso chiamato glocal sta diventando nella sua essenza una modello ideale di approccio per i giovani artisti.  Con la speranza che “gli occidentali”, nella loro brama di conoscere-analizzare-diffondere ma soprattutto mercificare, non disturbino eccessivamente questi processi in fieri.  Ma forse, l’utopia è proprio questa…

Valentina Fiore


Interior &Exterior: i due volti dell’India

dal 28 novembre al 5 dicembre 2007

My Cup of Tea Creative Space, via del Babuino 65 - Roma

www.mycupoftea.it/2007/11/interior-exterior-i-due-volti-dellindia/

 

 

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