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“E IL NAUFRAGAR M’È DOLCE IN QUESTO MARE”: VIAGGIO IN UNO SPAZIO VIRTUALE

Intraprendere un percorso all’interno della rete è sempre un’affascinante esperienza. Addentrarsi nelle pagine web e perdersi nella miriade di collegamenti che le uniscono, conduce inevitabilmente a prendere coscienza della realtà protesica del nostro corpo. Esso diviene il mezzo per rapportarsi con uno spazio virtuale in cui è possibile scegliere il proprio itinerario, provare le infinite possibilità della navigazione, plasmare gli elementi che ci vengono offerti dall’artista di turno per dar forma ad una composizione unica e irripetibile. Queste le molteplici attività che possono essere sperimentate interagendo con i lavori presentati al Maxxi di Roma, nel corso della mostra Net Space: viaggio nell’arte della rete – Paesaggi elettronici. Un’interazione molto divertente che presuppone l’abbandono totale al macchinario informatico, strumento di un rapporto privilegiato con uno spazio apparentemente estraneo a quello reale, ma che in definitiva stimola interessanti riflessioni sull’esperienza del vissuto oltre la realtà mondana.  Il primo lavoro, Watercouleur Park (2007), è un progetto commissionato dalla Tate Gallery di Londra al collettivo francese Qubogas. Una serie di forme alquanto strane scorrono come pioggia sullo schermo, raggruppandosi in paesaggi surreali. Grazie ad un cursore a forma di foglia possiamo interagire con lo spazio, apportare il nostro contributo al suo formarsi ed essere investiti da una sensazione di spaesamento prodotta dagli effetti sonori connessi al moto delle immagini, restando estasiati dall’improvvisa combinazione degli elementi in una sorta di paesaggio fiabesco o post rave.   Il lavoro successivo, Metapond (2005), è opera dell’artista francese Isabel Saij, che mette a nostra disposizione un’intera schermata nera su cui poter collocare degli oggetti virtuali che richiamano il mondo naturale (foglie, sassi, gocce d’acqua). Ognuno di questi oggetti emette un proprio ed inconfondibile suono, dando vita ad una composizione ottico – visuale atta a stimolare l’espansione dell’io in un luogo distante dove lasciarsi cullare dal misurato comporsi di suoni ed immagini.   Nell’opera di Vera Bighetti, Stereoscopy Space (2005), è sempre lo spettatore ad essere l’artefice della formazione di un paesaggio attraverso linee che, come fossero delle matite colorate, plasmano nuove direzioni, reinventano il contesto, dando la possibilità al fruitore di ripensare il luogo e di contemplare in silenzio un lento processo di costruzione. Inoltre l’uso degli occhiali tridimensionali amplifica la sensazione di far parte di un nuovo contesto.  La collaborazione fra Dan Norton e Gair Dunlop dà vita a Cumbernauld Town for Tomorrow (2003), lavoro basato sulla piantina della città di Cumbernauld, costruita nel secondo dopoguerra per ottimizzare gli spazi adibiti ad abitazione. Il razionale insediamento abitativo è colto da vari punti di vista, ognuno dei quali presenta una porzione della città costellata da puntini di vario colore che, cliccati, mostrano le foto di quel particolare luogo. Fin qui tutto tranquillo. Poi, improvvisamente, l’imprevisto: da un piccolo e fluttuante tondino inizia la metamorfosi dell’immagine. Lo spazio è invaso da colori, suoni, registrazioni vocali, che danno l’effetto di completo disorientamento, gettando così le basi per la visualizzazione di un luogo nuovo e diverso.  Innovativo e originale è il lavoro di Marco Cadioli, Internet Landscape (2003). La rete viene concepita come una dimensione parallela a quella della vita reale e per questo degna di essere immortalata. Attraverso veri e propri reportage fotografici di viaggi nel web, si dà testimonianza dell’esistenza di siti che sono scomparsi: la memoria della rete è paragonabile alla memoria del vissuto, sottolineando come «ogni web site è la definizione di un mondo con regole proprie arbitrariamente create dall’uomo» (Cadioli) e per questo contemplabili all’interno del percorso vitale di ogni singolo individuo.  Infine l’ultimo lavoro, D.F. Maze (2006) di Ernesto Rios, propone un itinerario a tappe di tre aree urbane di Città del Messico, ognuno delle quali viene percorsa con mezzi di locomozione diversi (un’automobile, un risciò, le gambe dell’uomo), evocando così il metodo della “dérive” adottato dai situazionisti degli anni ’50.  A conclusione di queste impressioni non posso fare a meno di elogiare determinate proposte artistiche ed invitarvi ad essere protagonisti di un vostro personale percorso, dedicando un po’ di tempo a giocare con questi lavori. Buon viaggio!

Simone Giampà


 

NetSpace: viaggio nell’arte della Rete - Paesaggi elettronici

a cura di Elena Giulia Rossi

17 ottobre - 18 novembre 2007

MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo, via Guido Reni 2f – Roma

www.darc.beniculturali.it

 

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