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ROTHKO BATTEZZA IL PALAEXPO

Dedicato a Gillo Dorfles e Rossana Buono che hanno avuto la pazienza di ascoltarmi e di consigliarmi  La grande riapertura del Palazzo delle Esposizioni è celebrata dalla presenza di tre artisti: Rothko, Kubric e Ceroli. Il percorso, tanto interessante quanto interminabilmente lungo e impegnativo, prende inizio dalla produzione giovanile di Rothko, quando ancora poteva essere definito un pittore espressionista. La sorpresa del pubblico di fronte a tale rivelazione non è sottovalutabile: la maggioranza delle persone ricorda bene il Rothko più maturo, ma non concosce i primordi della sua pittura e la lenta evoluzione ben documentata nella mostra. L’evoluzione stilistica del pittore viene man mano evidenziandosi grazie alla scelta sequenziale coerente a cui sono sottoposti i suoi quadri: dalle opere espressioniste (1935-1947), accompagnate da tavoli interattivi sui quali si accalcano i visitatori captati dalla curiosità di relazionarsi ai nuovi supporti offerti dal museo, alle opere monumentali più note, raccolte sotto il nome Muri di luce (1942-1964). Il tutto è circondato e accompagnato da pannelli didattici e foto documentative riguardanti esposizioni precedenti dell’artista. Nel percorso emerge gradualmente e si afferma davanti agli occhi del visitatore una naturale continuità logica tra figurazione e astrazione. Il pensiero dell’artista viene alla luce grazie a continue citazioni del suo libro: The Artist’s Reality. Chiamata in causa, per giustificare il primo operato dell’artista, è una sua presunta vena surrealista, ma appaiono, in concomitanza ad essa, altri fattori più evidenti come: l’importanza conferita all’elemento architettonico, la metamorfosi subita dai titoli dei quadri negli anni in cui diventa evidente il rifiuto della prospettiva, il grande lavoro dedito alla ricerca coloristica. Tra le numerose informazioni, offerte al pubblico, manca un elemento eminente: non si approfondiscono i legami dell’artista col mondo americano, ovvero la collocazione nel contesto storico e sociale. Sarebbe stato opportuno, per capire appieno la sua attività, ricordare a quale gruppo di artisti fosse in relazione, le differenze che intercorrono tra l’Espressionismo Astratto e l’estetica del  Color Field, citare la The Subjects of the Artists, scuola fondata da lui insieme a Clyfford Still, Robert Motherwell, David Hare e William Baziotes. In realtà all’ampia retrospettiva sfugge una delle maggiori difficoltà che incontra la critica dai suoi tempi a quelli più attuali: collocare Rothko nel panorama artistico americano. Certa critica ha voluto considerare l’artista il genio dell’Espressionismo Astratto, ma questa tesi viene chiaramente sconfessata dallo stesso quando sostiene che indirizza la sua ricerca in direzione di un’ immagine concreta, lontana da un’ estetica basata sulla percezione delle relazioni. L’assenza di un rapporto diretto tra le apparenze visibili del mondo esterno e l’espressione pittorica, che caratterizza la pittura astratta, non è sufficiente a giustificare la sua pittura. Da qui nasce, a mio parere, la grande difficoltà di focalizzare l’unicità della sua arte. Un’ultima osservazione, in maniera specifica, riguardo l’allestimento. Le prime sale destano subito una buona impressione. L’armonia stabilita tra la grandezza degli ambienti e quella delle opere lascia spazio ad una buona osservazione. La ricerca coloristica del primo Rothko viene esaltata dalla potente illuminazione. Ma questa, rimanendo invariata per tutta la mostra, sembra violentare altre tele appositamente dipinte per essere esposte in penombra. Nelle ultime sale la luce eccessiva produce un fenomeno di rifrazione sui quadri che impedisce di goderli appieno. Le stesse tele, dalle scure tonalità, esposte in uno spazio apposito, quasi buio, appaiono totalmente differenti nelle fotografie della Rothko Chapel scattate da Hans Namuth nel 1964. Attraverso questo confronto si conferma la funzione ben precisa  che le opere  svolgono in rapporto all’ambiente: istituire un dialogo intimo con lo spettatore. Allo stesso principio si rifanno le pale d’altare posizionate  in una chiesa: se venissero collocate all’esterno, in pieno giorno, non susciterebbero la stessa suggestione al fedele. Consapevole di aver azzardato parallelismi tra due tipi di arte distanti, ma non per questo irrelazionabili, concludo qui le mie osservazioni sulla mostra di Rothko con la speranza di aver lanciato un’occhiata critica mirante a esaltare più o meno i lati positivi di una grande mostra.

Eugenia Battisti

 


 

Mark Rothko

a cura di Oliver Wick

dal 6 ottobre 2007 al 6 gennaio 2008

Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale 194 - Roma

www.palazzoesposizioni.it

 

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