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Elisabetta Gut. Semi e segni

La galleria Cortese & Lisanti ospita fino al 12 novembre la personale di Elisabetta Gut intitolata Semi e Segni. L’artista italo-svizzera, nata a Roma nel 1934, ha iniziato a lavorare negli anni Cinquanta con opere di tipo astratto-materico, orientandosi dal decennio successivo in poi verso l’uso di elementi linguistici (pagine scritte, poesie, segni musicali) trasposti nel contesto visivo di sculture e assemblage. In questa direzione l’artista ha proseguito fino al momento attuale, accostandosi alla ricerca di Mirella Bentivoglio, che ne ha redatto la presentazione in catalogo. Elisabetta Gut sceglie come canale espressivo la poesia visiva, ovvero la mescolanza del codice scrittorio con quello visuale, procedimento che amplifica i significati nati dal rapporto tra parole e immagini. In mostra la Gut espone infatti opere che hanno in comune un elemento: la pagina del libro. Sculture e assemblage che richiamano la struttura libresca, pur non qualificandosi come libri d’autore. Si tratta di libri-oggetto, di libri cioè che hanno subito delle trasformazioni nella loro struttura o nella materia e che non possono più adempiere alla funzione di essere sfogliati. In mostra sono presenti lavori che vedono la commistione di pagine di libri, poesie e frammenti musicali con gli oggetti più disparati: frutta, rami, fiori, piume. Sono lavori minuziosi, delicatissimi da maneggiare e quasi da guardare.  Alcune opere si allacciano al mondo orientale e medio-orientale, sottolineando la bellezza della scrittura giapponese e araba. Come mandala, in queste opere una striscia di carta lunga e stretta reca ideogrammi giapponesi ed è sovrapposta a un foglio Fabriano tramite sottilissimi fili da cucito che ingabbiano al loro interno piume d’uccello, a volte bollate con un timbro di ceralacca. Il rosso acceso del marchio emerge cromaticamente sui fondi chiari del lavoro, come una ferita testimoniante i tormenti e le pulsioni dell’anima. Questo accade per Pacchetto di poesia: un foglio di ideogrammi viene ripiegato a formare un minuscola confezione e viene segnato al centro da un sigillo a significare la serratura ermetica dei pensieri più intimi dell’artista, custoditi gelosamente all’interno di quell’involucro. Versi d’amore di un libretto giapponese, in un altro lavoro, sono invece trafitti da un ramo e da un fiore di loto secco, donando la sensazione del passaggio del tempo, inesorabile e dolce, foriero di sentimenti appassionati e caduchi al contempo. In altre opere la lirica orientale cede il passo al fascino della scrittura araba. In Arabesques l’artista ricostruisce fittiziamente frammenti di scrittura medio-orientale disegnandoli su un tracciato di linee orizzontali, realizzate con fili da cucito stesi con precisione e meticolosità. Al centro compare una pagina del Corano, a richiamare con i suoi versi il disegno della calligrafia dispiegata attorno e a ricollegare l’opera all’interesse più generale della Gut per le pagine del libro.  La musica e il foglio del pentagramma sono l’oggetto di un altro gruppo di lavori presenti in mostra. In uno di questi, i frammenti di uno spartito, tagliato e sagomato come i petali di un fiore, sono inseriti nella cavità di un frutto tropicale essiccato. L’assemblage colpisce chi vi si accosta : il connubio è senza dubbio inusuale (e il titolo lo conferma: Libro seme) e il risultato estetico gradevole. I due elementi, musicale e naturale, si compenetrano perfettamente, quasi fossero da sempre fatti l’uno per essere inserito nell’altro. L’effetto emoziona ed è rafforzato dall’allestimento molto curato, che presenta i lavori sotto cubi trasparenti. L’isolamento degli oggetti è totale e li rende simili a reperti rari e bellissimi custoditi nelle teche di un museo di storia naturale.  In altri lavori la verticalità del foglio di carta è invece utilizzata per simulare degli strumenti musicali. Il solito filo da cucito viene usato con estrema perizia e inserito nell’elemento cartaceo dall’alto in basso, un filo accanto all’altro, come le corde di un violino. Inseriti nei fili ci sono piccoli semi e foglie, che confermano il dialogo tra elementi vegetali e culturali da cui risulta più chiaro il titolo della mostra. Il segno arcaico e primigenio è presente invece in un altro gruppo di opere, che prevedono simboli preistorici realizzati a inchiostro e inseriti all’interno di strutture libresche. Tracciati, linee e circonferenze campeggiano nelle pagine di pseudo-libri o libri veri. É il caso di Libro ombra che assiste alla violenza dell’elemento arboreo nei confronti della pagina: da semplice presenza che si integrava con il foglio, la natura si fa qui aggressiva e perfora le pagine del libro, confrontandosi con il simbolo preistorico dell’albero tracciato sul foglio accanto. Un rivendicazione di potere della natura sulla cultura? Nelle opere in mostra è presente infine un omaggio alla storia dell’arte, con un richiamo al ferro da stiro chiodato di Man Ray. Un libro arroventato da un ferro da stiro e forato con dei chiodi campeggia martoriato e sofferente, portando su di sé l’impronta della bruciatura e i buchi dei chiodi, quasi un’immagine in negativo dell’oggetto realizzato dall’artista dadaista. Ne risulta una sorta di Ecce homo, come argutamente sottolinea la Bentivoglio nel catalogo, in cui è reso ancora più vero il rapporto di identificazione, drammatico e sentito, tra l’artista e la propria opera.

Francesca Castiglia


Semi e segni - ELISABETTA GUT

a cura di Mirella Bentivoglio

dal 3 ottobre al 12 novembre 2009

Galleria CORTESE & LISANTI, via Garigliano 29 – Roma

www.corteselisanti.com

 

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