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La Fondazione Vedova

Se si cerca del nuovo si pensa bene di fare un salto alla Biennale di Venezia (se si vuole rimanere in Italia). Una Biennale che per la sua periodicità dovrebbe quindi presentare sperimentazioni, linguaggi diversi e nuove aperture. E magari, come suggerisce qualcuno, anche qualche provocazione (che pare non faccia mai male). Se si va alla Biennale con questo scopo si potrebbe rimanere delusi. Se si fa un bilancio generale (e per generale ammetto un certo pressappochismo) e si fanno salve alcune eccezioni la Biennale non presenta niente che possa essere considerato nuovo. Se invece con lo stesso scopo si va, più semplicemente, a Venezia la ricerca trova i suoi frutti. In questo caso peṛ bisogna avere un altro obiettivo, un’altra destinazione: da Castello a Dorsoduro il passo non è poi coś breve. In questa parte di città che sembra avere la più alta densità di arte contemporanea del mondo si pụ visitare liberamente la Fondazione Vedova. Questo spazio è stato inaugurato proprio in occasione della 53.Biennale di arte di Venezia presso gli (ex) Magazzini del sale. Nella sala, che si presenta come un’enorme navata di 30 per 9 metri, dove niente della struttura originaria è stato tolto o celato si possono ammirare i lavori del maestro Emilio Vedova (in tutto 27). Un meccanismo di cavi e binari ad orari programmati dispone un ciclo di nove opere nello spazio, posizionandole in punti e prospettive prestabilite per poi levarle dallo sguardo del visitatore e sostituirle con un altro ciclo di nove in posizioni e tagli diversi. Si assiste coś ad una messa in scena delle tele (di dimensioni ragguardevoli) come se ci si trovasse in un teatro. Le opere fanno vera mostra di sé e si svelano allo spettatore non accettando che sia questi ad andare da loro ma viceversa. C’è un’inversione del “rituale” museale nella nuova Fondazione Vedova in cui sono i lavori che si muovono per la sala ed è il pubblico che si colloca fermo lungo le pareti. Non è più un museo statico, “polveroso” e  sempre uguale a se stesso ma dinamico, seppur “umido” sempre mutevole. Si realizza quello che Vedova faceva entrare nei suoi lavori ossia un movimento, una forte propensione all’andare fuori dai limiti della tela. Le sue opere disposte in prospettive, le sue forme a disco, lo stesso pavimento inclinato del “museo” invitano ad un cammino.  A lavorare alla realizzazione architettonica è stato Renzo Piano che ha voluto intenzionalmente lasciare intatta l’idea di magazzino alla quale ha peṛ sapientemente accostato un richiamo al laboratorio o allo studio d’artista; le atmosfere che convergono in questo luogo rimangono inalterate e delle opere (quando non ci sono) non se ne sente quasi la mancanza. Il progetto realizzato va oltre la mera necessità funzionale (la mancanza di spazio adeguato per tutte e 27 le opere) che peṛ effettivamente risolve nel migliore dei modi. C’è di fondo un’idea di “museo adattivo” e interattivo che non trova precedenti e pari. Ecco cosa c’è di nuovo a Venezia in tempi di Biennale.

Fabrizio Manzari


Fondazione Vedova

a cura di Germano Celant

Magazzini del sale, Dorsoduro - Venezia

www.fondazionevedova.org

 

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