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Intervista a Claudia Ferri

Rivolgiamo alcune domande alla fotografa Claudia Ferri per comprendere meglio  il suo lavoro, in vista della sua personale nell'ambito del Festival Internazionale di Fotografia 2009, che quest'anno ha per tema le “Declinazioni della gioia”.

D. Claudia come nasce la tua passione per la fotografia e a quanti anni hai cominciato a eseguire i tuoi primi scatti?

R. La mia passione per la fotografia nasce all’incirca una decina di anni fa, verso i 18 anni, e i miei primi scatti “studiati” si incentravano sul linguaggio del corpo. Naturalmente nell’esplorazione del nudo. Mi divertivo a fotografare amiche in situazioni disparate e il mio set erano gli spazi di casa.

D. Questo lavoro basato sui due soggetti presenti in mostra (tua cugina e tua nonna),deriva da una volontà personale di raccontare qualcosa? Come nasce?

R. Il mio linguaggio fotografico raramente deriva da progetti studiati e pensati, è solo in post produzione che il racconto vien fuori, che tutto prende forma. La fotografia per me è una necessità, un’urgenza. Scatto semplicemente d’istinto mossa dalla riflessione della realtà, del tutto che mi circonda. Il lavoro in mostra ha uno sfogo più ampio, non si limita a raccontare Livia ed Emilia, anzi..questi scatti raccontano, spensieratezza d’infanzia e rassegnazione consapevole con pause di riflessioni attente, ferme. Sicuramente si tratta di un racconto ermetico e molto personale.

D. So che le tue immagini sono in analogico. Che macchina fotografica usi e da dove nasce questa volontà di non usare il digitale?

R. Il digitale non mi dà sicurezza, ho sempre paura di perdere file! Ma non è solo per questo che tutta la mia fotografia è in analogico. Scatto con una rolleiflex ed un’hasselblad, entrambe macchine di medio formato (dove il negativo è grande 6 cm x 6 cm). A parte il formato quadrato, qui lo scatto è ripreso “dalla pancia”, essendo munite di pozzetto da cui inquadrare. Quindi l’atto della ripresa avviene in modo non invadente, a giusta distanza, non portando la macchina al viso, si crea una relazione morbida con i soggetti che fotografo (persone ed oggetti), utile per il mio approccio, a volte timido. Da non escludere inoltre la piacevole ansia d’attesa per i tempi di sviluppo prima di visionare le immagini! Cosa che con il digitale scompare. La fotografia digitale, per me, non ha nulla a che fare con quella analogica, semplicemente è differente.

D. Perchè Emilia è ritratta di spalle? E' un modo per guardare al futuro?

R. Molti dei miei ritratti sono di spalle, mi trovo spesso a fotografare bambine, donne, ma in realtà è come se facessi degli autoscatti, mi racconto attraverso altri corpi..Qui è come se raccontassi la mia infanzia trattenuta, è forse per questo che Emilia è ritratta di spalle. E comunque non è un modo per guardare il futuro, caso mai il passato, sfocato.

D. Perchè invece l'immagine di tua nonna è frammentaria?

R. Raccontare il dolore è più semplice che raccontare la serenità, ma non sono amante delle immagini “sguaiate” e dirette. Penso che ci voglia sempre dignità e rispetto, e raccontare il malessere che quei giorni viveva mia nonna ritraendola secondo certi canoni non mi andava, mi imbarazzava, quindi ho scelto un’inquadratura che lasciava intendere una situazione di malessere.

D. Gli oggetti che accompagnano le due protagoniste che significato hanno per te? Perchè il ritorno della sedia in più foto?

R. Ogni oggetto ritratto nelle foto rappresenta delle riflessioni, delle pause. Non c’è filo diretto con gli unici 2 soggetti umani, è un discorso totalmente introspettivo dove Emilia ha la stessa valenza di una pianta o un cuscino. Nei miei scatti vien fuori una forte assenza, una mancanza di qualcosa, qualcuno, c’è impalpabilità, è forse per questo che ci sono piu’ volte sedie vuote, l’immagine piu’ diretta per raccontare questa condizione, sai, anche io non conosco bene il perché di certe scelte, seguo la scia di un moto totalmente involontario.

D. Le tue fotografie si inseriscono perfettamente nell'ambiente ovattato di questa galleria, un p̣ come i tuoi scatti, non perfettamente definiti. E' stata una tua scelta?

R. Mi è stato chiesto di esporre un mio lavoro nello spazio di Ex Elettrofonica, che trovo affascinante e difficile nello stesso tempo perché il luogo qui vive di vita propria. Sono stata felice della fusione tra la morbidezza delle curve e il mio lavoro.

D. Questi scatti sono un p̣ parte di tutti noi, dove possiamo immedesimarci, o vogliono essere solo la parte della "tua" vita o della vita dei tuoi personaggi?

R. Il mio dialogo di immagini è aperto a tutti, mi piace quando lo spettatore si affeziona ad una mia fotografia, una mia riflessione, e la sente vicina, la immagazzina in modo soggettivo, la lega al suo vissuto.

D. Che significato ha il cigno, che, suppongo per questione di non continuità visiva, è stato spostato da un'altra parte?

R. Il cigno anche qui rappresenta un pausa di riflessione.

D. Quali sono i tuoi progetti futuri e su cosa vuoi centrare la tua attenzione?

R. Per il futuro? Sinceramente non so ancora cosa voglio fare da grande! Una cosa è certa, continueṛ a scattare semplicemente per necessità.

D. Quali sono i tuoi modelli di riferimento?

R. Il mio modello di riferimento consiste nella realtà che mi circonda, ogni cosa che vive di vita propria, ovvero tutto.

Simona Merra

 

 

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