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Fotografie dall’Indochina

Ultimamente a Roma il tempo sembra proprio trasportarci in luoghi esotici lontano dalle estati mediterranee, in aggiunta al caldo torrido e al traffico soffocante, piogge fulminee che sconquassano le strade in turbini di vento e acqua: clima, purtroppo, da monsone indiano. Coś, di recente, alla z2o galleria si respira la stessa aria indiana. Già in Febbraio ci ha sorpreso con l’arrivo dei ritratti su pellicola di Bharatt Sikka, adesso, dal 28 maggio e sino al 25 luglio, l’eco dell’India si fa più forte con il kitsch fotografico di  Indochine  , mostra di Baba Anand, curata nuovamente da Maria Teresa Capacchione.   A livello internazionale l’artista è conosciuto per le personali rielaborazioni, in forma di collage, della cartellonistica bolliwoodiana anni ’50 - ‘70, ma nei lavori di questa prima personale italiana si presenta con  le ultime e inedite sperimentazioni: luccicanti fotografie, in digitale, decisamente costruite e artefatte. I soggetti assolutamente finti: bambole di pezza e plastica e statuette di divinità induiste, racchiuse, come in un prezioso scrigno, in sontuose cornici aggettanti in finto oro, passpartou sgargiantissimi, addirittura uno maculato, e sfondi arricchiti di luccicanti paillettes, il tutto interamente realizzato dall’artista. Né misticismo, né mantra da bramino, ma pura ironia, nell’esaltazione barocca dell’oggettistica che si trova nei mercati indiani e circonda la venerazione della religione induista. Nella giovane società di consumi indiana, l’opera di Anand si colloca a metà fra “l’arte di amare le cose” di Warhol e lo spirito alla base delle “accumulazioni” di Arman. Le bambole, quasi tutte in primo piano come icone sacre, sono fotografate sulle bancarelle delle fiere, asfissiate nella loro stessa plastica di imballaggio, agghindate con pomelli rossi sulle guance e finti sorrisi cuciti sui volti. Le divinità, ossessionanti, affastellate e ripetute in ordine paratattico nell’obiettivo, anch’esse si mostrano fastose tra scintillii di perline e coloratissime pietre, assolutamente non preziose. Tutto è posto sullo stesso piano nell’intenzione dell’artista, da un lato il sacro e il profano, fotografati in modo identico, quasi schiacciati dall’obiettivo, si eguagliano sull’altare kitsch della cultura popolare indiana; dall’altro la riflessione si amplia al livello del paradosso della globalizzazione: le bambole e le statuette, come del resto i materiali usati nell’ “addobbo” delle fotografie, sono “made in China”, ogni cosa è dunque mercificata. Cosa rimane allora di autenticamente indiano?  Oltre al gioco e allo stupore immediato che ci colpisce nell’abbondanza di “cose” fotografate, c’è dunque una sottile vena amara e satirica, esaltata anche dalle divertenti trovate dell’allestimento che rompono la neutralità della galleria: le divinità escono serafiche dalle foto e si stabiliscono al centro, come su un mini-Olimpo induista, omaggiate da allegri finti fiori gialli e fucsia; gli fa peṛ da “contraltare” la bambola appesa alla porta d’ingresso, che ci saluta angosciata e ingabbiata nel proprio pvc.

Silvia Baldi


Indochine - Baba Anand

a cura di Maria Teresa Capacchione

dal 28 maggio al 30 luglio 2009

z2o galleria, via dei Querceti 6 - Roma

www.z2ogalleria.it

 

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