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Intervista a Lino Strangis

In occasione dell’inaugurazione della mostra "Lino Strangis. Camping of Metaphorical Processes" a cura di Eloisa Saldari, presso Sala 1 Centro Internazionale d'Arte Contemporanea, abbiamo "sequestrato" Lino per rivorgergli alcune domande sul suo lavoro, su cosa significa essere un artista oggi, insomma renderci e rendervi partecipi il più possibile della situazione dell’arte e più specificatamente della video arte a Roma. Lino Strangis è nato a Lamezia Terme (CZ) nel 1981, vive e lavora a Roma, svolgendo le proprie ricerche nei campi della sound art, della musica digitale, dell’elettroacustica sperimentale, della fotografia ed in particolare della videoarte, con speciale riguardo alle installazioni audiovisive ambientali. Si distingue in numerose rassegne, tra cui Presenze Video-Soniche - Mostra Internazionale di Audiovisioni e Invideo - XVII Mostra Internazionale di Video e Cinema. Nel 2007 il Sound Art Museum di Roma acquista la sua opera Modular. Nel 2009 le sue opere video One Moment e Multi Identity Man sono selezionati alla IV edizione di Magmart International Videoart Festival e acquisite dal CAM - Museo di Arte Contemporanea di Casoria. Scrittore teorico, dal 2008 collabora con la rivista LACRITICA.NET.

Quali sono i concetti fondamentali che sono alla base della tua ricerca?

In effetti a me è accaduta una cosa particolare…prima ho iniziato a lavorare ed in seguito, lavorando e studiando, ho capito quali erano le teorie, i pensieri più vicini alla mia esperienza. Sicuramente le avanguardie storiche, sembra scontato, tutta l’arte contemporanea viene da ĺ, peṛ penso che oggi alcuni particolari vengano trascurati. Il cubismo ad esempio, attraverso una ricerca estetica fondamentalmente, quindi attraverso l’immagine e non teorie scritte riusciva a teorizzare qualcosa che poi si è ritrovato nella fisica quantistica. Sono concetti fondamentali di cui la maggior parte della gente non è consapevole. Molto importante per me è anche l’arte processuale, cinetica…che è molto legata al video. Se pensiamo al Gruppo T, effettivamente in video hai la possibilità di fare il lavoro sul movimento e sul cinetismo in maniera molto più semplice a livello logistico. In fondo il computer ce l’hanno tutti ed è interessante che con uno strumento che sta in tutte le case si pụ creare qualcosa che non sta affatto in tutte le case. Nella video arte non c’è un autore di cui mi sento prosecutore, ci sono attinenze con Robert Cahen, Bill Viola (ma soprattutto la prima parte, i lavori recenti non mi interessano molto). Cahen invece mi piace molto, anche le recenti installazioni, l’utilizzo di poco materiale, la ripresa minimale. Inoltre penso che sia stato uno primi a scoprire il valore metaforico delle alterazioni delle immagini. Certo anche Nam June Paik si serviva di alterazioni video, ma in una forma un po’ più dadaistica, quasi accumulazione di immagini, proprio per portare il mezzo ai propri limiti e far vedere infinite immagini in infiniti modi diversi, senza lavorare molto su una stratificazione di sensi. All’inizio lavoravo molto in questo modo, quasi mi spaventava che il lavoro potesse avere una propria definizione, invece adesso desidero che lo spettatore riesca a percepire almeno la chiave di lettura che io ho dato all’opera, per avere un livello minimo di comprensione, sempre comunque lasciando la libertà di interpretare il video in maniera personale. Ovviamente poi, come diceva lo stesso Adorno, l’opera d’arte se è tale è una continua stratificazione di sensi e più la guardi più emergono significati. Quindi la capacità è anche lasciare l’opera aperta, non negare la possibilità di trovare un significato istantaneo, né fare un’opera incomprensibile, né dare un significato preciso perché sarebbe limitante.  Per quanto riguarda la parte filosofico-letteraria mi hanno influenzato molto gli scritti di Derrida, Heidegger, Deleuze.   Il video è uno dei media più potenti, tutti abbiamo almeno una tv in casa, un oggetto familiare che può portare lo spettatore all’arte trasmettendo “qualcosa” che non è affatto familiare per l’utente. Sì, sicuramente una delle direzioni più interessanti dell’arte contemporanea è porre dei dubbi sulle certezze, in particolare la tv, ancora per un bel po’, sarà al centro della diffusione dell’informazione, quindi mostrare un dubbio evidente sul linguaggio televisivo è un modo di agire socialmente al livello del linguaggio.

Lavori con mezzi molto semplici, tantissimi artisti adesso lavorano in HD, tu invece lavori ancora con un 800 MEGAPIXEL, un programma di montaggio semplice, premiere credo…non ti poni dei dubbi sui tuoi mezzi?

In effetti a volte dei dubbi me li pongo. All’inizio lavoravo molto con il “drop” e una certa bassa fedeltà dell’immagine è utile a volte. Io credo che quello che ha l’HD non ha la bassa definizione e viceversa. La vibratilità della bassa fedeltà per me rimane espressivamente molto importante, anche perché riporta l’immagine video verso la pittura; “droppando” l’immagine diventa quasi impressionista. A volte mi dispiace non poter usare mezzi potenti per lavorare, peṛ dall’altra mi piace tirare fuori dei lavori da macchine veramente commerciali e alla portata di tutti. Io cerco di usare il mezzo che ho a disposizione con le mie possibilità creative. Al di là dei mezzi a disposizione, certo con tutti i limiti che questo comporta, trovare le moltissime potenzialità del mezzo che si ha e valorizzarle il più possibile. Per esempio sono costretto a lavorare con immagini riprese sempre ad una certa distanza perché con le macchine commerciali puoi sgranare, perdere la luce giusta e rischi di non riuscire neanche più a trattarle in post-produzione, peṛ anche in questa misura ci sono milioni di possibilità che si possono sfruttare; il punto è non castrarsi e cercare di lavorare non pensando che l’una o l’altra cosa siano la soluzione. La soluzione non è usare una macchina da 20.000 o da 300, entrambe hanno delle capacità specifiche, ad esempio la macchina da 20.000 pixel non riprenderà mai coś “male” o meglio coś “bene-male” come quella da 300.

Nelle tue opere c’è una forte componente sonora. La creazione del suono è consequenziale al video?

Di solito lavoro prima sul video, cercando inizialmente di non pensare al suono che ci costruiṛ sopra, una volta che il video è montato compongo la traccia audio sopra il montato, dandomi la possibilità di approfondire delle forme di composizione aleatoria, che altrimenti non mi sarebbe possibile creare. Facendo musica ti ispiri o comunque ti basi sempre sulla forma della canzone, della fuga, dando a questi suoni una forma compositiva, se, invece, il suono deve adeguarsi a qualcosa che c’è già, risulta imprevedibile a tratti anche per me.  Il suono è importantissimo per me, è quel qualcosa attraverso cui l’opera si espande nello spazio, ti viene a chiamare a metri di distanza, è un prolungamento di questo ecosistema audiovisivo.

Ho notato che lavori molto sul rumore, sull’immagine e la forma, un po’ meno sul silenzio, ti interesserebbe confrontarti con questa componente o no?

Devo essere sincero, inserire silenzio mi interessa da tempo, ma ancora non mi viene spontaneo, anche se ripeto mi piacerebbe lavora sull’assenza di suono o su presenza/assenza di suono. Forse non ho ancora esaurito questa dimensione, in cui il suono crea ambiente.  Ultimamente sto lavorando sul silenzio video, quindi dei neri con solo sonoro e viceversa. Recentemente Robert Cahen mi ha chiesto di fare una versione sonora di un suo video del 2005 creato in assenza di suono, e in quell’occasione ho veramente capito che il silenzio è suono.

Un’ultima domanda, cosa ne pensi della consegna a Cattelan del Premio alla Carriera 2009?

Da una parte mi può fare anche piacere che si possa dare un premio alla carriera ad un uomo che non sta per morire, pụ essere un cambiamento di tendenza. Sapere che c’è la possibilità di vincerlo, non per forza dopo aver spento l’ottantesima candelina, è una cosa che apprezzo. Per quanto riguarda Cattelan, ha saputo essere concettuale pur rimanendo accessibile al grande  pubblico ma non so se la sua invenzione sia più artistica o di marketing...

Chiara Ciucci Giuliani e Daniele Costantino


"Lino Strangis. Camping of Metaphorical Processes"

a cura di Eloisa Saldari

dal 30 aprile al 23 maggio 2009

Sala 1 Centro Internazionale d'Arte Contemporanea, P.zza di Porta S. Giovanni 10 - Roma

http://www.salauno.com/

 

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