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On biennals/Tutto sulle biennali. Qualche riflessione sul Festival dell’arte contemporanea 2009

Sono andata al Festival di Faenza soprattutto per motivi di tesi, ma con uno scetticismo di fondo: ritrovarmi per tre giorni in un vortice di retoriche riflessioni e molta mondanità. La sorpresa invece è stata piacevole: certamente grande spazio a public (and private) relations, ma anche tanta serietà e professionalità, il constatare che grandi nomi dell’arte contemporanea dopo il loro intervento scendevano dal palco e si sedevano in platea per assistere, intervenire e confrontarsi con altri grandi “luminari” del settore.   Tutto sulle Biennali, Tutto su mia madre: ammiccando con ironia al bel film di Almodovar, il titolo di questa seconda edizione ha concentrato tutte le sue attenzioni sul fenomeno delle biennali, queste “grandi madri” che nel bene e nel male hanno largamente nutrito, gestito ed influenzato lo sviluppo dell’arte contemporanea, soprattutto nell’ultimo decennio. Il festival si è aperto simbolicamente con un’intervista a Daniel Birnbaum, curatore della 53 Biennale di Venezia, per chiudersi con un’altra intervista molto importante, quella a Carolyn Christov-Bakargiev, curatrice della prossima documenta. Due “colonne d’Ercole” attraverso le quali con il passare dei decenni si sono estesi e rivisti  - nel bene e nel male - gli orizzonti dell’arte contemporanea.  Festival significa pluralità e sincronismo (ma forse più accavallamento) di eventi: quindi la necessità di dover scegliere tra una molteplicità di proposte: talk, forum, coming shows, presentazioni di libri (le biennali dal punto di vista dei curatori, degli artisti ed anche il loro sviluppo nella storia e nella società), per arrivare a crearsi un “myfestival”, come caldamente suggerito sul website ufficiale.  Festival significa anche per Faenza, piccolo centro nella provincia di Ravenna, vivere per una settimana l’anno una sorta di invasione aliena: molti clienti, affari per chi ha attività commerciali; ma parlando con le persone del posto (molto indifferenti a tutto questo tourbillon de la vie artistico) le riflessioni più diffuse si sono concentrate sul perché indirizzare tanti contributi economici del comune e della provincia per un evento esterno, quando di questioni ed urgenze interne ce ne sono tante in sospeso… Questa riflessione sulla  sostenibilità   di eventi culturali in un territorio con una propria identità è stato alla base di uno degli incontri forse più interessanti di tutto il festival: quello con il team di Manifesta, fondazione poliedrica e lungimirante che attraverso pubblicazioni, incontri ma soprattutto la sua biennale di arte da più di dieci anni riflette sull’arte contemporanea in “Europa”, dando a questo termine tutte le ambiguità che ha dovuto attraversare ed ancora affronta dalla caduta del Muro di Berlino in poi. La biennale Manifesta si sposta ogni due anni in una nuova location: la sfida è quella di portare in questi luoghi parte del  know how   acquisito nelle edizioni precedenti cercando allo stesso tempo di dialogare attivamente con le realtà ospitanti, lasciando concretamente tracce e contributi che vadano al di là dell’evento in sé. Sfida coraggiosa e complessa: difficile conciliare politiche locali, finanziamenti, team di curatori che cambiano ogni anno…  Rivedere la storia dell’arte attraverso la sua  messa in mostra   è alla base delle ricerche di Bruce Artshuler, grande critico ed intellettuale americano che sta pubblicando con la Phaidon  Salon to Biennial  , un grande lavoro diviso in due parti sulla storia delle più significative esposizioni d’arte, dai  salon   parigini alla documenta 11 (il secondo volume è previsto per la fine del 2009). In conversazione con Carlos Basualdo, uno dei tre curatori del festival, Altshuler ha illustrato alcuni passaggi chiave delle sue riflessioni inedite e forse un po’troppo solitarie: perché riflettere sui meccanismi di messa in mostra dell’arte forse è un punto di vista panoramico e privilegiato ancora poco esplorato.  Con qualche pensiero significativo sulle biennali: il loro essere sempre più eventi (mono)tematici a discapito forse del  rendere conto   dell’arte di oggi, funzione iniziale delle grandi mostre commerciali di fine ‘800, antenate delle odierne biennali; la loro visione sempre più parziale perché entità complesse ad alta concentrazione di eventi in un breve arco temporale.  Tanto che la Biennale di Venezia, forse la più costellata di “eventi collaterali”, si pensa tenderà ad estendere la sua durata nel tempo verso un modello che assomigli sempre più a quello di un grande museo (ma molto più costoso).  La domanda forse più difficile posta all’interno del festival è stata: “pụ ancora la biennale essere un format convincente e adatto per l’arte contemporanea?”; la crisi dei suoi modelli, avvertita già da tempo, ha manifestato alcuni sintomi come quello dell’incauta proliferazione di biennali in ogni dove, o dell’avanzare di un modello fieristico che si espande in orizzontalità evitando la verticalità di riflessioni critiche. Le risposte ovviamente sono state diverse, più o meno convincenti. Da Sarat Maharaj (che avverte una crisi “istituzionale” delle biennali come fu per i musei circa dieci anni fa, auspicando una ridefinizione delle sue potenzialità riflettendo su cosa significhi oggi “novità”), passando per Gianfranco Maraniello (che si sofferma sia sulla necessità di uscire dall’evento biennale in sé scoprendone memoria e storicità, sia sul dover concepire la biennale come qualcosa che prosegua anche negli intervalli tra un’edizione e l’altra), forse la risposta più interessante è arrivata dal grande Hans Ulrich Obrist. Il quale, attraverso le voci di un frammentario “alfabeto per biennali” stende un elenco di punti chiave da sviluppare nel tempo: “a” e “c” come “arcipelago e continente” (dalle teorie di Glissant), ovvero provare a vedere nelle biennali non più “continenti” ma “arcipelaghi”, zone di contatto reciproco con il contesto, in una globalizzazione che mantenga comunque le differenze. “n” come “negoziazione tra passato-presente-futuro”, “o” come “organicità” tra un’edizione e l’altra … fino ad arrivare di nuovo alla “n”, con una provocazione: “n” come “non –biennale”, un’ipotesi astratta ma da non sottovalutare.  Tema per la prossima edizione del festival:  opere  ; da una visione “macro” ad una visione “micro”, per affrontare da diverse distanze alcuni punti critici dell’arte contemporanea.  Ci si augura con la stessa intensità e partecipazione intellettuale di questa edizione… .

Valentina Fiore


Festival dell’arte contemporanea 2009 - On biennals/Tutto sulle biennali

comitato scientifico: Angela Vettese, Carlos Basualdo, Pier Luigi Sacco

dal 17 al 19 aprile 2009

Faenza (varie sedi)

www.festivalartecontemporanea.it

 

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