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Hard Art

Disseminate una o due per sala negli spazi della galleria, secondo un’ammirevole scelta del curatore mirata a non sovraccaricare emotivamente chi guarda e a lasciare invece ad ogni lavoro esposto tutto il ‘respiro’ necessario ad imporsi e a comunicare, undici opere parlano di Eros (e di Tanatos, come vedremo) declinandolo in tutti i suoi aspetti di possente forza vitale, ora mistico, ora licenzioso, violento, dolce - e mai scontato, mai banale, mai involgarito. Tre di esse sono delle antiche pitture Asana; una, un disegno tardo (1962) di Hans Bellmer, viene dalle atmosfere del Surrealismo (Bellmer si impose nel 1934 con diciotto fotografie pubblicate sulla rivista «Minotaure»), il movimento artistico che seppe scandagliare le profondità dell’erotismo con straordinaria sensibilità e raffinatezza. E non è un caso che tutte le altre opere siano in vari modi debitrici del Surrealismo e in generale delle espressioni artistiche avutesi negli anni Dieci, Venti e Trenta, riconducibili al carisma di un uomo straordinario che ha guardato gli oggetti con occhi nuovi, che si è fatto fotografare ora come donna incipriata ora come Fauno virile ora come il dio Mercurio, che montando due lastre di vetro ha reso visibile l’anelito dell’anima umana, non solo maschile, a quell’eros trascendente che nei poemi cavallereschi veniva chiamato Graal e che lui ha chiamato la  Mariée  , la Sposa. Proprio ai travestimenti di Duchamp si ispira uno degli artisti in mostra, Luigi Ontani, che nell’autoritratto fotografico  Per inciso Narciso con tulipano nell’ano   assume una posa tipica dei licenziosi acrobati di Hieronymus Bosch. I ‘dischi rotanti’ del cortometraggio sperimentale  Anémic Cinema   che Duchamp realizẓ negli anni Venti hanno spesso richiamato dei seni alla mente degli storici e critici d’arte (per non parlare del seno di gommapiuma accompagnato dalla raccomandazione, solitamente impensabile in ambito museale, “Si prega di toccare”), e sono dei seni rosati quelli che emergono, come le ninfee di Monet, dal fondo azzurro nel quadro di Marco Colazzo. Se Duchamp interviene sulla Gioconda con un paio di baffi e il titolo  Elle à chaud au cul  , Ben Vautier prende una vecchia stampa erotica molto raffinata, degna delle incisioni di Chauvet per le Memorie di Casanova o delle caricature di Rowlandson, e vi scrive sopra quattro aggettivi in francese riferiti al pene. La donna stilizzata sulla tela di Sergio Ragalzi ha sul petto due lattine schiacciate che fanno pensare a Ottava strada di Man Ray; Paola Gandolfi parte da un comune souvenir, un Colosseo in miniatura, e vi pone dentro un sesso femminile in resina (infatti, se il readymade come inteso all’epoca delle Avanguardie consisteva nella presentazione dell’oggetto tout court, il readymade del Postmoderno implica il ‘caricare’ l’oggetto di elementi aggiunti). Straordinario omaggio al corpo femminile è poi l’opera di Mojmir Jezek. Egli di solito è ‘l’artista dei cuori’ (spesso anche abbastanza sdolcinati): ma questo cuore è una scultura che emerge da una scatola/vetrina (e anche qui il pensiero va alle ‘scatole’ di Joseph Cornell, Man Ray, Beatrice Wood…), ed è fatto in modo che le sue due metà possano richiamare due glutei nel solco fra i quali si intravede la clitoride. Sicuramente ricordano la possanza della forma brancusiana. In questo viaggio nell’Eros, Tanatos compare nell’ultima sala. La galleria ha ospitato anche delle  performances   (ad es. Joan Jonas), e questa sala è appunto il piccolo teatro, con gradini e poltrone, che solitamente le accoglie. Ora sul palco c’è un’installazione di Francesco Clemente. Sappiamo che questi è un artista degli anni Ottanta, della Transavanguardia, un momento in cui si sono verificati diversi cambiamenti significativi nei concetti di ‘stile’, di ‘rappresentazione’, di ‘referente’…Ma è stato anche il decennio dell’AIDS. E Clemente dà vita ad un piccolo cimitero popolato da croci e da simboli del sesso maschile e femminile, intrecciati a due a due in tutte le combinazioni possibili, maschile con maschile, femminile con femminile, maschile con femminile, perché nessun tipo di rapporto è immune dal rischio. L’artista ha dichiaratamente realizzato l’opera per i suoi amici stroncati da questo male. Seduti nella ‘sala teatro’ della galleria, guardando il palco, si pụ rivolgere un pensiero a tutte le vittime, non solo ai compianti Mapplethorpe, Haring ecc., ma anche a quelle ‘comuni’ e non per questo da dimenticare.

Maurizia Paolucci


Collettiva Hard Art

a cura di Fabio Sargentini

dal 27 febbraio al 20 aprile 2009

Galleria Galleria L'Attico - Fabio Sargentini, via del Paradiso 41 - Roma

www.fabiosargentini.it

 

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