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ivan, con la 'i' minuscola

E' raro "toccare" la poesia. Si è abituati a leggerla in intimità, al massimo la si ascolta declamare da interpreti durante letture pubbliche in teatri, circoli culturali, librerie, festival. La poesia è spesso confinata in un sacro recinto che la rende austera e inavvicinabile; la poesia è quella che siamo obbligati ad imparare mnemonicamente a scuola (“La nebbia agli irti colli/Piovigginando sale…”), che col tempo ci abituiamo ad abbandonare e relegare negli scaffali più alti e polverosi delle librerie. La poesia di ivan mira invece a darsi come esperienza. “Street-artist” di lungo corso (ha partecipato alle collettive più importanti legate al movimento in Italia, da “Street Art, Sweet Art” presso il PAC di Milano, fino a “Scala Mercalli”, ospitata lo scorso anno all’Auditorium di Roma ), ivan – rigorosamente con la “i” minuscola – ama definirsi “poeta di strada”: l’obiettivo è quello di scardinare le tradizionali modalità di fruizione della poesia, portandola, letteralmente, in strada. Seminarla ovunque, dalle periferie di Milano alle vie de L’Avana, dal centro di Bologna a quello di Praga; depositarla ovunque sia possibile farla entrate in contatto con la gente. Percorrendo le strade del capoluogo lombardo non è raro imbattersi nelle sue frasi illuminanti, in grado di squarciare il grigiore di un urbanesimo degradante o nei “manifesti d’assalto poetico” sospesi sotto i ponti dei Navigli. La sua calligrafia, coś sobria e comprensibile a tutti da far evaporare eventuali accuse di “vandalismo”, è immediatamente riconoscibile. Poesia dunque da vivere e sentire: in strada come in una galleria. Proprio una galleria, lo spazio Oberdan di Milano, ospita un percorso espositivo tutto dedicato allo “street-poeta” (“Poesia Viva”, fino al 15 marzo). Versi incisi su tronchi d’albero o proiettati su uno schermo, associati ad immagini al fulmicotone che schizzano l'una dopo l'altra. E ancora, cumuli di lettere di legno ammucchiate, poesie dedicate a grandi personalità che hanno influenzato ivan (da Pasolini a Van Basten) presentate all’interno di teche illuminate con il volto della persona “ritratta” (una sorta di ex-voto contemporaneo), parole di polistirolo che formano alcuni dei motti storici di ivan, le cosiddette “scaglie”: “chi getta semi al vento farà fiorire il cielo”, “il futuro non è più quello di una volta”. Un percorso suddiviso in ambienti capaci di garantire un’immersione poetica che avvolge lo spettatore (non più semplice lettore o uditore), coinvolgendo tutti i sensi. Difficile "visualizzare" la poesia: nel secolo scorso ci hanno provato per primi i futuristi, dando un taglio grafico alle parole, sparse in disordine sulla pagina bianca. Cento anni dopo ivan si è inserito in questo problematico e spesso piatto rapporto (limitato in alcuni casi ad una traduzione letterale di parole in immagini) con la convinzione - alla base del suo lavoro da sempre - di poter avvicinare quante più persone possibile, dallo studente all'operaio, passando per la casalinga di Voghera. E ci riesce con un allestimento concepito ad hoc per essere fruito, interpretato e completato dallo spettatore, il quale è invitato a prendere parte al gioco della poesia. Accade coś che i “cumuli” di lettere vengano scelti dai visitatori per comporre brevi frasi sul pavimento, oppure che le centinaia di gessetti messi a disposizione siano utilizzati per annotare le proprie impressioni o il proprio nome sulle pareti nere (di cartongesso, sia chiaro: poi tutto viene rimosso…), come si trattasse di un grande guestbook parietale. Purtroppo i motti di ivan sembrano urtare la sensibilità del vice sindaco di Milano, De Corato, icona dell'anti-graffitismo militante, che ha attaccato la Provincia (nella persona del presidente, Filippo Penati) per aver promosso l’esposizione: “con la legge già approvata dal Senato gli amici writer di Penati, che ora espongono le loro opere al pubblico dopo aver imbrattato centinaia di edifici, sarebbero finiti in galera”. L’ennesima dimostrazione di un'intolleranza non si sa bene se figlia della strumentalizzazione politica o della cultura qualunquista, dominante nel nostro paese, che predica diffidenza verso le novità. E non solo in ambito artistico. Ma la risposta di ivan era già pronta da anni, quando scrisse per la prima volta una delle sue celebri scaglie: "diverso è solo un altro modo per dire noi". Nove parole sono una replica sufficiente a chi getta disprezzo al vento sperando di far rannuvolare il cielo.

Saverio Verini


Poesia Viva

a cura di Jacopo Perfetti

dal 13 febbraio al 15 marzo 2009

Spazio Oberdan, via Vittorio Veneto - Milano

www.poesiaviva.it/pv/

 

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