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Bertrand Lavier joue le jeu

Bertrand Lavier gioca: con l'arte concettuale, la minimal art, l’astrattismo, l’espressionismo astratto; gioca con il concetto di piedistallo (e, di conseguenza, con la definizione stessa di modernità), con il design. Gioca soprattutto con Duchamp in una partita probabilmente persa in partenza. Ma, in fondo, quanto gli interessa veramente vincere? Gioca nel senso più linguistico e filosofico che possa mai esistere, quello di Wittgenstein, già modello per l’arte concettuale (Kosuth in primis), altro grande punto di riferimento per l’artista francese. La frase manifesto del pensiero di Wittgenstein,  il significato della parola risieda nel suo uso  , ben si presta come leitmotiv per l’intera mostra, a cominciare dal comunicato stampa:   Lo scollamento fra parole e cose, fra oggetti e concetti, è presente già nei primi lavori della fine degli anni Settanta: come nominare un colore?Come distinguerlo dalle innumerevoli sfumature di tono? Come far coincidere il concetto di rosso con una realtà precisa?E’ questo il cimento in cui si impegnano i dittici monocromi di cui vediamo in mostra diversi esemplari  .  Ma Lavier non si sofferma solo sugli aspetti linguistici e metalinguistici del linguaggio artistico: c’è anche una profonda riflessione su simboli e icone della società di massa, trasfigurate ma dotate di una propria dignità estetica; è il caso di  Walt Disney Production   o  Sociétés Générales  . Quest’ultima opera appare come un riuscitissimo site specific sulla facciata del palazzo che dà sul giardino: otto piastrelle in ceramica, rappresentanti forme geometriche che vogliono alludere ai loghi di alcune tra le maggiori banche internazionali, vengono posizionate con sapienza tra frammenti e fregi antichi, in un sapiente confronto non tanto con l’antichità quanto con la famiglia Medici. Perché lavorare su questa facciata significa  - come scrive Marylène Malbert nel catalogo – restituirla alla sua funzione originaria: l’ostentazione del gusto, della ricchezza, del potere.  Sfiorando la provocazione, l’artista si ferma sempre un istante prima: i suoi lavori appaiono garbati, ironici, quasi mai dissacranti. Garbatezza ambigua forse, sospesa tra intelligenza critica e feticismo del segno.  Unico difetto: sarà forse per l’aria di crisi che imperversa nel nostro Belpaese, ma perché l’Accademia di Francia vuole accanitamente imitare il circuito del Palaexpo, raddoppiando quasi il prezzo d’entrata? La perdoniamo, solo per l’indiscussa bellezza dei suoi spazi (caffetteria inclusa), del giardino e della vista panoramica su Roma, da togliere il fiato.

Valentina Fiore

 


Bertrand Lavier

a cura di Giorgio Verzotti

dal 27 gennaio all' 8 marzo 2009

Villa Medici  - Accademia di Francia, Viale Trinità dei Monti 1, Roma

www.villamedici.it

 

 

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