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Italics: molto rumore per nulla

Devo ancora capire se "Italics - Arte italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008", esposizione allestita a Palazzo Grassi a Venezia, sia una mostra grandiosa o, piuttosto, ambiziosa. Avevo letto critiche feroci, Kounellis che si appella al diritto d'autore pur di non vedere esposta la sua opera (nonostante fosse proprietà di un privato), artisti e addetti ai lavori indignati per le scelte del curatore. Già, il curatore: Francesco Bonami si è trovato circondato da un fuoco nemico che, al contrario delle intenzioni polemiche mirate a screditare "Italics", non hanno fatto altro che puntare i riflettori sulla mostra. Personalmente tale sovraesposizione ha contribuito a far crescere in me una spontanea simpatia per Bonami; di solito parteggio per chi si trova in minoranza, specie se attaccato dalla "vecchia guardia" per la volontà di battere nuove strade. Alla fine credo che si sia sollevato "molto rumore per nulla". I nomi "obbligati" ci sono tutti (da Fontana a Guttuso, da Burri a Pistoletto, passando per Clemente e Cattelan); non mancano poi piacevoli soprese fra cui il tanto vituperato Annigoni (non distante dal "decadente naturalismo" di Lucien Freud), il fotografo Gabriele Basilico (abbinato alla giovane Paola Pivi), Giuseppe Gabellone e due "ripescati" come Carlo Zinelli e Fernando Melani (complimenti, davvero: anche se avrei osato di più, inserendo - magari - artisti non di prima fascia come Claudio Parmiggiani, lo scultore Nicola Carrino, Ugo Attardi, Emilio Scanavino). Il problema nasce dalla presenza di opere - non di "nomi" - probabilmente superflue: lo sono a mio avviso quelle di Dadamaino, di Enrico Baj, di Salvo, di Gianfranco Baruchello (eccessivi i 4 lavori con cui viene presentato, anche se uno, la "Grande biblioteca", è uno dei migliori pezzi esposti), e sono solo alcuni fra gli artisti che avrei lasciato a casa. Proprio alla luce di queste scelte appaiono ancor più dolorose le esclusioni di Alberto Viani, Pietro Consagra, Franco Angeli, Umberto Mastroianni, Alberto Sughi, Afro, Giuseppe Capogrossi, Piero D'Orazio, Fausto Melotti, Pietro Cascella, Arnaldo Pomodoro, Francesco Lo Savio, Mimmo Paladino. Con dei distinguo: se certi mostri sacri appaiono più rappresentativi di epoche precedenti (Capogrossi, Afro, Viani...Ma allora perché inserire un De Chirico del '73?), altri (Melotti, Consagra, Pomodoro, Lo Savio, Paladino) hanno sviluppato linguaggi e condotto ricerche capaci di condizionare la scena artistica italiana, influendo sulla formazione di molti altri artisti del periodo preso in considerazione dalla mostra (1968-2008). E la loro assenza sembra per questo un "affronto". Ma queste sono le cosiddette "scelte curatoriali"; senz'altro problematiche, ma proprio per tale ragione utili a mantenere vivo un dibattito artistico che in Italia sembra sopito. Insomma, da una parte Bonami si pụ giustificare (una selezione comporta dei tagli), dall'altra sono comprensibili le lamentele di alcuni che fanno notare l'impronta eccessivamente curatoriale impressa da Bonami; ma da qui a parlare di revisionismo, come molte voci scandalizzate hanno gridato, beh, ce ne passa. In merito ai lavori esposti, tra gli oltre duecento, ci sono delle autentiche perle: l'"Ambiente spaziale" (1968) di Fontana è, prima che un'opera, un'esperienza da attraversare; i "Funerali di Togliatti" (1972) di Guttuso danno la sensazione di trovarsi di fronte ad un pezzo non solo d'arte ma di storia; l'installazione di Cattelan, "All" (2008), è di un impatto emotivo che invita contemporaneamente al raccoglimento e all'esclamazione; Gabriele Basilico ed il suo ciclo di foto ("Contact", 1984) fanno capire quanto l'ironia sia fondamentale, al di là di una tecnica e di un'originalità innegabili. Deludono un po' i giovani battezzati enfant-prodige, Patrick Tuttofuoco e Francesco Vezzoli. Le loro opere appaiono pretenziose quanto inutili (il riferimento è tutto diretto a Vezzoli), alimentando le ragioni di quanti vedono nell'arte "contemporaneissima" una fiera dove il premio viene assegnato a chi la spara più grossa. In definitiva, un'esposizione ricca, sorprendente, utile a fare il punto della situazione sull'arte italiana degli ultimi quarant'anni, laddove si era fermata la ricerca di Germano Celant condotta attraverso "Italian Metamorphosis 1943-1968", analoga impresa curatoriale ed espositiva ospitata al Guggenheim di New York, alla quale lo stesso Bonami aveva affermato d'essersi ispirato per "Italics". Sarebbe un grande passo avanti per il nostro sistema culturale assistere più spesso a mostre di questo tipo; e se un giorno dovesse capitare anche a me di diventare un curatore "vero" (e accidenti se un giorno accadrà!), prometto che cercheṛ di sollevare - in buona fede - quanti più dibatitti possibile.

Saverio Verini


Italics - Arte italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008

a cura di Francesco Bonami

dal 27 settembre 2008 al 2 marzo 2009

Palazzo Grassi - Venezia

www.palazzograssi.it/italics/

 

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