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Robert Frank. Lo straniero americano

La mostra milanese su Robert Frank a Palazzo Reale presenta 80 fotografie, provenienti dal Fotomuseum Winterthur e dal Fotostiftung Schweiz di Zurigo, insieme a ”Conversations in Vermont”, primo film autobiografico dell’artista, prodotto nel 1969.  Aperta al pubblico fino al 18 gennaio 2009 la mostra è da non perdere, non solo per gli appassionati di fotografia ma per tutti coloro che amano vedere e scoprire attraverso l’arte i tanti aspetti della vita. Robert Frank, artista inquieto, curioso, innovativo, ha catturato con la sua macchina i molteplici aspetti della società coś come apparivano ai suoi occhi e li ha mostrati al mondo suscitando interrogativi ma anche facendo scoprire la bellezza che si nasconde dietro un semplice gesto o in una situazione quotidiana.  Le fotografie della Svizzera documentano le sue origini, i volti della sua gente, i paesaggi della sua terra. L’aspetto documentaristico lo ritroviamo in molte opere di Frank che è stato sempre interessato agli aspetti sociali ed ha svolto, parallelamente alla fotografia di moda, un’intensa attività di reporter freelance. Questa passione sia per il sociale che per l’estetica lo ha condotto a una ricerca che unisce la bellezza formale all’obiettività dello sguardo. Allo stesso tempo, peṛ, non mostra nelle sue foto momenti decisivi e nemmeno cerca di dare delle risposte ma semplicemente interpreta attraverso la macchina fotografica, guidato dalle sue sensazioni,  tranches de vie on the road  , come nelle celebri fotografie realizzate negli Stati Uniti, dove emigra nel 1947. Nel 1958 pubblica a Parigi “Les Américains”, riedito a New York l’anno seguente col titolo “The Americans”. Si tratta di una selezione di 83 immagini tratte dal viaggio che Frank compie per tutti gli Stati Uniti dal 1955 al 1956, grazie alla borsa di studio annuale promossa dalla “Fondazione Guggenheim” di New York. In queste fotografie, alcune delle quali sono esposte in una sala della mostra, si scorge un’America inedita, non più solo quella del benessere economico e dei miti ma anche quella delle contraddizioni, delle distinzioni tra ricchi e poveri, della desolazione. È commovente che l’artista decida di fermare il suo sguardo sugli emarginati della società americana nel servizio sulla festa del 4 luglio a Coney Island. In  Anteprima cinematografica   a colpire la curiosità del fotografo non è l’attrice, che appare in primo piano ma fuori fuoco, benś il pubblico (perfettamente a fuoco, in secondo piano) che accoglie entusiasta l’arrivo della star. Poi ci sono le foto sulle pompe di benzina del Texas, o i juke box di New York, i fast food, oppure la gente dietro le finestre con la bandiera americana messa a sventolare in occasione di parate.  Il suo arrivo a New York è documentato dalle prime fotografie qui scattate che evidenziano una forte curiosità verso lo stile di vita della metropoli. Molte le fotografie in cui il soggetto è la strada, talora vista dal basso verso l’alto, come unica protagonista. Oppure la gente sui marciapiedi che di fretta si dirige verso la propria destinazione. Questa curiosità per la città la ritroviamo anche nelle foto di Parigi e Londra, scattate in occasione di viaggi in Europa. Sono tutte leggermente sfocate e avvolte da un’atmosfera nebbiosa: “Era il momento in cui si scopriva, con la Polaroid, come fare istintivamente delle foto. Ed io decisi di esprimere in quelle foto istantanee, un sentimento semplicissimo, quello di essere al mondo. Esistere, esserci, nient’altro”. Nelle foto di Parigi, scattate a più riprese, spicca maggiormente l’attenzione al dato formale con soluzioni sperimentali innovative nelle inquadrature e nei soggetti. A Londra, invece, si sofferma da una parte sugli uomini d’affari della City, con le loro valigiette e i cappelli a cilindro e dall’altra sulla gente comune (operai, bambini) dei quartieri popolari, provata dalla vita.  Nel 1959 collabora con la Beat Generation e insieme al pittore Alfred Leslie, dirige il suo primo film. Da qui la decisione di abbandonare la fotografia per la sua nuova passione: tra il 1960 e il 1972 si dedica solo ai suoi film underground. Frank ritorna alla fotografia dopo dodici anni e lo fa cambiando tutto, raccontando molto di sè, della sua famiglia, dei suoi figli (una sala della  mostra è dedicata a questo periodo).   Un film, ”Conversations in Vermont”, girato nel 1969, in bianco e nero, chiude la mostra. È una sorta di album di famiglia considerato il primo film autobiografico dell’artista. Nel film, di non facile interpretazione, si intende ricostruire, attraverso i ricordi, la storia del rapporto tra un padre e i suoi figli. I ricordi di Frank, che si racchiudono nelle sue fotografie, e quelli dei figli, più intimi, sembrano non incontrarsi: il film sembra riconoscere alla fotografia un valore limitato come mezzo di comunicazione quando si tratta degli affetti.

Ida Tricoli

 


 

Robert Frank. Lo straniero americano

a cura di Martin Gasser, Thomas Seelig, Urs Stahel ed Enrica Viganς

dal 14 ottobre 2008 al 18 gennaio 2009

Palazzo Reale - Milano

www.comune.milano.it/webcity/portale/palreale.nsf/vNews/DSEV-7FXEC9

 

 

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