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Picasso, il grande cannibale degli stili


Arlecchino (1917)

«Mi sveglio neoclassico e mi addormento neocubista» affermava Picasso ribadendo la sua devozione alla mutazione delle forme, la sua completa libertà nella scelta degli stili, la sua policromaticità, evocata nelle pezze del costume di uno dei personaggi della commedia dell’arte, Arlecchino, scelto come correlativo dello stesso artista dai curatori della mostra in corso a Roma, Picasso 1917-1937. L’Arlecchino dell’arte, appunto. 
La mostra inaugurata il 10 ottobre scorso al Complesso del Vittoriano raccoglie oltre centottanta opere tra oli, sculture e opere su carta, testimonianze della simultaneità degli stili dell’artista, dal cubismo al neoclassicismo, dal surrealismo all’espressionismo. Attraversando le sale, emerge la capacità di Picasso di assorbire tutto ciò che lo attira, di fagocitare, come un cannibale, tutti i movimenti, tutte le possibilità creative, facendo sua una concezione della storia dell’arte come opera aperta, materia continuamente riplasmabile. Picasso non sceglie mai di perdere qualcosa in favore di qualcos’altro, incarnando la più profonda libertà dell’arte: «L’artista è un ricettacolo di emozioni venute da ogni parte: dal cielo, dalla terra, da un pezzo di carta, da una figura che passa, da una tela di ragno. Perciò l’artista non deve distinguere tra le cose. Per esse non esistono quarti di nobiltà». Picasso, dunque, realizza opere caratterizzate da scomposizioni cubiste come L’italiana (realizzata a Roma, nel suo studio di via Margutta nel 1917) e nello stesso tempo 'mastica' il passato, riflettendo sull’arte italiana del Rinascimento, guardando al classicismo francese e realizzando dipinti improntati ad uno stile neoclassico, come Donna che legge del 1920, accostandosi inoltre al surrealismo e denunciando negli anni Trenta, attraverso dipinti caratterizzati da un vivace cromatismo, un dialogo con Matisse, suo rivale e amico ad un tempo, rappresentando i due artisti 'il polo nord e il polo sud della pittura'.


La lettrice (1920) - Arlecchino musicista (1924)

Sempre negli anni Trenta, Picasso si confronta con la realtà che lo circonda attraverso il grande capolavoro di Guernica, non presente in mostra ma di cui è possibile vedere alcuni studi. L'esposizione si chiude con la Suite Vollard, una serie di cento incisioni (presente integralmente) realizzate per il mercante d’arte, ulteriore testimonianza del legame dell’artista con la tradizione neoclassica. Dall’esposizione emerge chiaramente la figura di un artista 'proteiforme', capace di trasformarsi in qualsiasi maniera, attraverso il recupero e la ri-creazione di modelli artistici che rappresentano la persistenza dell’arte.
Tuttavia, l’unico difetto evidenziabile riguarda l’aspetto organizzativo: al visitatore bisognerebbe garantire le condizioni migliori per poter fruire al massimo delle opere esposte, quali spazio per muoversi, silenzio, tempo per riflettere. Beh, queste condizioni vengono annullate dal flusso interrotto di gente che riempie le sale, non regolato all’ingresso attraverso una divisione per gruppi ed entrata ad intermittenza! L'impressione è che si punti più sulla quantità che sulla qualità, ma se da un lato gli incassi saranno maggiori, dall’altro resterà solo l’insoddisfazione e la delusione del visitatore.

Carmela Rinaldi


 

Picasso1917-1937. L’Arlecchino dell’arte
a cura di Yve-Alain Bois
dall' 11 ottobre 2008 all' 8 febbraio 2009
Complesso del Vittoriano, Via S. Pietro in carcere - Roma

 

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