- Figure e segni dall’invisibile al visibile - La mostra dal titolo “Immagini e linguaggi - Da Modigliani a Fontana” è stata inaugurata lo scorso 23 ottobre presso Palazzo Potenziani a Rieti e sarà aperta al pubblico fino all’11 gennaio 2009. Patrocinata dalla Fondazione Varrone e curata da Roberto Alberton, presenta oltre 50 tele dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea, e comprende nomi come Modigliani, De Chirico, De Pisis, Carrà, Rosai, Fontana, Campigli, Guidi, Sironi. Non potete perdere alcune di queste opere, anche se Modigliani, che è richiamato nel titolo, non è presente se non per alcuni bozzetti. Tutto sommato alcuni quadri valgono davvero il viaggio fino a Rieti e l’ingresso è gratuito… Obiettivo del curatore e della mostra, le cui opere sono datate fra gli anni ’10 (Bozzetti di Modigliani) e gli anni ’70 (Paolo Masi), è quello di porre in luce la dicotomia tra rappresentazione del mondo reale e rappresentazione dell’immagine pensata, tra figurazione e astrazione, tra figura e segno, che si è creata in quegli anni nella produzione artistica. La mostra si apre con una sala dove Alberton ci introduce attraverso le parole del grande Paul Klee: “L’arte non mostra il visibile, ma lo rende visibile”: a tal proposito non risulta essere casuale la scelta di iniziare l’esposizione con Virgilio Guidi, artista che nella sua carriera pasṣ dal figurativo all’astratto. Segue una sezione interamente dedicata alla rappresentazione del paesaggio, con le opere di Umberto Lilloni, Pietro Marussing e Arturo Tosi, ben armonizzate tra loro grazie alla componente emotiva dettata dal legame con la terra d’origine, propria di ogni artista. Il salto qualitativo si realizza, tutto sommato, solo dopo essere giunti al piano superiore, dove si possono ammirare le “Donne” di Mino Maccari, olio del ’45 che si caratterizza per l’ispirazione espressionista, polemizzante anche con la società del tempo, che ci mostra un gruppo di donne volutamente mostruose, abbozzate solo attraverso macchie dalle tinte forti. Nella stessa sala colpisce un paesaggio di Carrà, dove la luce, con il suo caratteristico riverberare, sembra provenire dal basso e dar vita a colori suggestivi ed irreali: egli approda, dopo essere passato dal futurismo alla metafisica, alla consacrazione della natura come poesia del reale, anche se le atmosfere restano rarefatte e malinconiche. Non meno importanti sono le tempere di Sironi, raffinate sovrapposizioni di piani basate su un alto senso compositivo, sulle tipiche tonalità ambrate, studiate in base alla profondità del piano percettivo, e sulla forza del segno e della linea. Capolavoro indiscusso della sala sono i suoi “Bersaglieri”, opera che ci trascina all’interno della scena, attraverso il movimento convulso dei soldati e dei loro fucili, generato dal taglio obliquo dei corpi. Queste calibrate composizioni devono la loro perfezione anche all’amplia conoscenza che Sironi aveva in campo scenografico ed architettonico. La sala successiva si apre con tre opere di De Pisis, caratterizzate dal “tratto a zampa di mosca”, come lo defiń Montale, e da un tempo immobile che circonda gli oggetti, donando loro un’aura poetica. “Parigi”, olio del ’37, ci restituisce un’immagine della città francese attraverso pochi, determinanti, elementi: il colore grigio – blu degli edifici, il cielo denso e nuvoloso, i contorni indefiniti, i riflessi di luce, l’atmosfera malinconica della città dopo un giorno di pioggia. Atmosfera che diventa rarefatta nelle opere di Ottone Rosai, dove la vibrazione e la sfocatura diventano il leitmotiv della rappresentazione, e la visione del reale viene idealizzata e sospesa metafisicamente. I suoi soggetti sono ampli spazi esterni dipinti attraverso larghe campiture di colore, semplificate e private del segno grafico, come in “Cupolone con campanile” e “I carabinieri”. Pulizia e semplicità del segno ci accompagnano anche nella visione dei bozzetti di Modigliani, forse non a caso posti in successione; qui figure isolate si stagliano contro un fondo vuoto e soltanto la grazia, pur anticlassica, dei corpi nudi, ci restituisce il senso di una natura genuina e materna. La mostra, che a livello emotivo va in crescendo, raggiunge il suo apice nelle ultime due sale, che ci offrono le opere migliori dell’intero percorso. L’introduzione è un collage materico di Phillip Martin, che colpisce l’osservatore per il forte impatto prospettico, nonostante l’assenza di forme e volumi figurativi, grazie all’intersecarsi di piani trattati con differenti textures; la cura grafica, determinata da una moltitudine di segni, riprende ed anticipa due movimenti: la Pop art e il graffitismo. Essenza ed essenzialità del segno e del linguaggio si distinguono nelle opere di René Laubiés e Claude Bellegarde: il primo sembra parlare all’anima, colpendo il nostro immaginario più profondo, quello legato alla Terra, in una equilibrata sintesi fra materia e spiritualità, forse dovuta anche ai suoi continui viaggi tra la Francia e l’India; il secondo riesce, con poche, calcolate, tese pennellate, a trasportarci dentro una profondità che va verso un punto all’infinito. Tuttavia, il vero maestro nel dare profondità e senso tridimensionale alla tela, è Lucio Fontana, artista che riusć a sintetizzare due arti: la scultura e la pittura. Infatti, oltre al valore scultoreo dell’accumulazione materico - pittorica (vedi “Concetto spaziale”), sono soprattutto i tagli ed i buchi che Fontana procurava alla tela che ci danno la percezione di uno spazio… non uno spazio generico, ma quello che ci circonda, la stanza che contiene il quadro che noi osserviamo, lo spazio che noi viviamo: questo spazio è la realtà, la nostra realtà. Coś, con forza perentoria, ci costringe a prendere coscienza di noi stessi, del nostro essere come presenza fisica e del nostro Vivere ed Agire come anime.
Antonio Taverna, Valentina Tocci
Immagini e Linguaggi, da Modigliani a Fontana
a cura di Roberto Alberton
dal 23 ottobre all’11 gennaio
Palazzo Pontenziani, via Crispolti 24 - Rieti