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BIACS 3 - Al margine delle circostanze

Mesi fa già avevo avuto occasione di scrivere sui preparativi della BIACS 3, con qualche perplessità di fondo: possibile un passaggio da un’arte  per  il visitatore ad un’arte  del  visitatore, ed un uso sempre più creativo e personale delle nuove tecnologie? All’inizio del percorso della sezione principale ospitata dal CAAC di Siviglia mi colpisce una scritta riportata su una colonna, a mo’di benvenuto, mutuata dal pensiero del grande filosofo spagnolo Ortega y Gasset: “ Yo soy yo y mi circustancia”; la frase citata manca della seconda parte: “Io sono io e la mia circostanza… e se non salvo questa non mi salvo nemmeno io”. L ’individuo è in un rapporto dialettico di opposizione e compenetrazione costante con il concreto contesto spaziale, temporale e culturale; lo deve fare per sopravvivere, avendone pienamente coscienza. La seconda cosa che mi colpisce per la sua paradossalità è una riflessione riportata sul sito filosofico.net a proposito di Ortega y Gasset e il suo rapporto con le tecnologie: il filosofo “ …riconosce il contributo essenziale della tecnologia, che ha consentito uno sviluppo tale da rendere l'uomo autosufficiente in confronto alla vita animale dipendente direttamente dalla natura. La tecnologia è una sorta di veicolo che conduce l'essere umano verso la felicità; ma resta il fatto, incontrovertibile, che tale mezzo è e rimane esterno all'uomo, non ha una morale, e lascia all'uomo una sensazione di vuoto”. Sembra che la stessa sensazione mi accompagni uscendo dagli innumerevoli corridoi di questa biennale, soprattutto perché forse il tanto blasonato concetto d’interazione qui promulgato con tanto entusiasmo sembra fare acqua da più parti.  C’è da stupirsi in mezzo alle tante istallazioni interattive: in “Bubbles” di Wolfang Munch abbiamo la sensazione di spostare con l’ombra del nostro corpo bolle virtuali, proiettate; attraversando la struttura di Antonio Barrese “Zeus Playng” siamo colpiti da una miriade di piccole scosse e scintille; Golan Levin e Zachary Lieberman ci offrono la possibilità di visualizzare in eleganti forme astratte le alterazioni della nostra voce attraverso sofisticati algoritmi (“Messa di voce”).  E che dire del reactable, l’ultima frontiera di sintetizzatori musicali, che permette un uso intuitivo e collaborativo delle sue varie componenti, per ottenere sempre risultati inediti! Nella maggior parte di questi lavori vogliono convincerci che ne siamo il fulcro, la parte fondamentale; io credo ne siamo solo gli usuari di turno, più passivi che attivi, stupiti dalla particolarità tecnologica che decide per noi un orizzonte di azioni ben preciso da cui non possiamo poi più di tanto uscire. E l’interazione sconfina ben presto nell’intrattenimento, non lasciandoci nient’altro che qualche stupore ben presto assopito. Sicuramente non va fatta di tutta l’erba un fascio (parliamo di centinaia di opere): la sezione più prettamente dedicata all’architettura e alle sue nuove frontiere sperimentali risulta interessante, forse un po’troppo diretta agli addetti del settore; ma l’anti-padiglione “The Morning Line” di Matthew Ritchie, collocato all’ingresso del CAAC, riesce forse nella sua universalità di propositi che cercano di fondere arte, architettura, matematica, cosmologia, scienza e musica, a lasciarci suggestionati. Peccato non aver potuto approfittare delle sue capacità interattive: stesso discorso vale per i lavori di Martin Walde, Marc Lee, Jeffrey Shaw e molti altri, non fruibili perché rotti, o fuori uso, o non ancora pronti. Inammissibile per una biennale internazionale già inaugurata da quasi un mese... Questo purtroppo riguarda anche l’altra sede (forse più succursale) ospitata all’interno del Palacio de Carlos V di Granada, nel cuore dell’Alhambra.  La location tuttavia appare suggestiva, ed il tentativo di far dialogare le opere selezionate con le origini della cultura al-andalus non pụ che essere affascinante: un confronto tra la culla del pensiero logico matematico occidentale e lo sviluppo artistico delle nuove tecnologie, metaforizzato bene da video come quelli di Adel Abdessemed “God is design”, o “The evidence of the invisible” di Sun Myng Choi. C’è spazio anche per indagare il rapporto tra religione araba ed i suoi stereotipi nella società contemporanea: “Within the religion” è un progetto che raccoglie diversi video e documentari arabi, cercando con differenti stili di mostrare alcuni “punti caldi” della questione religiosa (e quindi politica) nei paesi del medio oriente.  I risultati sono incredibili, di una bellezza metaforica che forma quasi un paradosso con le forme astratte e geometricamente perfette dell’Alhambra, riflesso di una divinità non rappresentabile ma solo contemplabile.  Vorrei chiudere con una delle opere forse più belle viste in tutta la biennale: gli straordinari acquari fantasma di KiBong Rhee, “Dancetology”, dove alcuni tra i testi degli autori più rappresentativi del pensiero occidentale (Platone, Cervantes, Nietzche, Dostojesky…) galleggiano come trascinati in una perenne deriva.  Quasi a suggerire che, nonostante la tecnologia ci porti sempre più lontano, a volte rassicura pensare che qualcosa di antico e familiare possa rimanere nei paraggi, più o meno sommerso.

Valentina Fiore


BIACS 3 - Terza edizione della Biennale Internazionale di Arte Contemporanea di Siviglia

a cura di Peter Weibel; co-curatori: Wonil Rhee, Marie-Ange Brayer

dal 2 ottobre 2008 all'11 gennaio 2009

Siviglia (CAAC); Granada (Palazzo di Carlo V, Alhambra)

www.fundacionbiacs.com/biacs3

 

 

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