Uno e molteplice Marco Delogu: oltre che efficiente curatore (praticamente impossibile scovare difetti agli eventi da lui organizzati) trova anche il tempo di scattare, e per di più nella maggioranza dei casi con un ingombrante banco ottico. Nella mostra presentata nello spazio espositivo di Villa Medici ci troviamo di fronte ad un percorso fotografico e artistico che muove, come ci dice il titolo, dal nero al bianco. Sono i presenti i lavori sui “gruppi umani”, dai pastori della maremma ai carcerati, dagli zingari ai cardinali. E’ un catologo che a prima vista fa pensare al lavoro di Sander, ma che in realtà ne è tutto il contrario. Delogu non racchiude questi uomini in una categoria, ce li rende nei loro luoghi deputati (che siano stanze del vaticano per i cardinali o il carcere nella serie Cattività) legandoli indissolubilmente a una precisa realtà ma contemporaneamente, ed è qui la meraviglia, riesce ad astrarli, riesce a cogliere sguardi universali che ci fanno domandare dove sia la differenza tra il cardinale e il carcerato. Gioca sapientemente con lo sfocato ( l’uso del banco ottico gli permette di farlo superbamente) e con la luce, facendo a volte degli uomini sculture e delle sculture (guardate i ritratti romani) esseri viventi. Ma non c’è solo l’uomo in questa mostra. Ci sono anche le nature, anzi la natura. Qui l’uomo non c’è, non se ne vede la traccia. Le tracce, i sentieri battuti presenti in queste immagini sono creati dalla natura stessa, dal vento e dagli animali. Sono i dettagli che la fanno da padrone in queste fotografie, piccole parti di un tutt’uno più grande che probabilmente è spiegabile e conoscibile ( se lo è ) solo per frammenti. E’ della scuola “less is more” Delogu, cerca l’essenziale, la sottrazione. Non c’è l’uomo in queste nature, è vero. Ma nel complesso l’idea che si dà è che l’uomo ci sia, presente anche lui proprio come ulteriore dettaglio a questo tutto, a cị che vive. C’è come un percorso che Delogu fa e ci fa fare a nostra volta, quello appunto dal nero al bianco. E’ proprio con le nature che arriva a raggiunge un eccesso di luce, una smaterializzazione, un evanescenza, che sembra un momento di calma e un punto d’arrivo a cui si è giunti dopo aver interrogato l’uomo con i suoi difetti e le sue virtù e dopo aver camminato per sentieri non battuti. Come ultima cosa, vorrei soffermarmi su una serie specifica. Quella degli ex condannati a morte. Sono tre dittici, fotografie di uomini scampati alla sedia elettrica all’ultimo momento. Sono ritratti strettissimi. Per ognuno di loro ci sono due immagini affiancate. Una ad occhi chiusi e una ad occhi aperti. Il nostro sguardo passa dalla visione di un uomo già morto ( quegli occhi chiusi e un viso rilassato) ad un uomo ancora vivo, che ci guarda, ostinatamente. La sensazione che ho avuto io davanti a queste immagini è di non aver scampo. E che la fotografia, quella vera, non si fa solo guardare ma guarda a sua volta e spesso, ferocemente (seguendoti ormai anche quando stai riscendendo la scalinata di trinità dei monti).
Valeria De Berardinis
Noir et blanc - Marco Delogu
a cura di Richard Peduzzi
dal 15 ottobre al 30 novembre 2008
Villa Medici - Accademia di Francia, Viale Trinità dei Monti 1 - Roma