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Lisette Model e la sua scuola. Fotografie 1937 - 2002

“La scuola di Lisette Model”: forse sarebbe stato più onesto invertire il titolo, ma si sa, in questi casi il nome “vende” e ne è un altro esempio lampante il continuo chiamare in causa Diane Arbus, la pupilla più famosa e tormentata della Model, presente all’interno della mostra solo con tre fotografie (e neanche tra le migliori). La Model era una fotografa straordinaria, si capisce dalla ventina dei suoi lavori esposti lungo il corridoio principale, dalle fotografie parigine degli anni ’30 a quelle successive americane (un’emozione su tutte, il ritratto di Billie Holiday): frammenti di vita e umanità che non rimandano a nessun sentimentalismo, né luogo comune (si pensi all’epica mostra organizzata da Steichen al MoMa nel 1955, “The Family Man, che segṇ intere generazioni) ma parlano di differenze, di singole intimità, dell’eccentricità a volte mostruosa del quotidiano. “ Non scattate finché il soggetto non vi colpisce alla bocca dello stomaco” spesso ripeteva ai suoi allievi dei corsi che per decenni tenne alla New School for Social Research, di New York; “ il soggetto sei tu, l’oggetto è la vita”, e forse è proprio la distanza tra questi due poli una delle lezioni più grandi trasmesse dalla Model. Quanto intimi si deve essere per raggiungere una certa distanza da cị che si fotografa?  I suoi “successori” presenti nella mostra sembrano rispondere in maniera molto differente (parlare di allievi sarebbe riduttivo: non tutti frequentarono i corsi della Model, ma ciascuno fu influenzato, più o meno direttamente, dal suo stile e dal suo modo di guardare la realtà). Differenza non solo di distanza ma anche di attenzione alla formalità, alle luci, alla matericità della stampa (fattori altrettanto importanti per la Model). Tra i dodici artisti, Larry Flink sembra essere una delle presenze più imponenti (non a caso co-curatore della mostra…): colpiscono la serie di fotografie dedicate al festeggiamento di compleanni nella profonda provincia americana, sarcastiche, quasi impietose. Più ironico Raymond Jacobs, con le sue bellissime foto su Louise Armstrong e sui bagni di sole collettivi a Coney Island (inquieta musa ispiratrice per molti fotografi americani dal II dopoguerra in poi). Quando si parla di distanza i lavori di Bruce Cratsley appaiono forse quelli più coinvolti: basti guardare una foto come  White Leg (Ron in The Hospice)  per capire come abbia saputo unire una grande attenzione formale (che tanto ricorda Kertesz) alla discesa in alcuni dei meandri più “oscuri” della realtà newyorkese anni ’80 e ’90: omosessualità, travestitismo e AIDS , che lo ucciderà nel 1998. Eva Rubinstein sa perfettamente che le foto partono dalla propria soggettività, anzi: sono una ricerca di sé stessi (conscia e inconscia) nella realtà, attraverso dettagli della vita colti in toni quasi surrealistici, che culminano nel magrittiano Self-Portrait in Shadows. Anche le fotografie della Solomon hanno un sapore surrealistico, ma è più forte l’inquietudine dei sinistri interni di case, abitati da bambole e spettrali figure femminili.  Peccato per l’esiguità degli spazi: viste le grandi mostre fotografiche che negli ultimi anni sono state ospitate dal Museo di Roma in Trastevere forse speravo nell’uso di entrambi i piani, soprattutto del cortile interno, dove si pụ approfittare di un po’di sana luce naturale. Peccato quindi soprattutto per la sempre più frequente cattiva impostazione delle luci, che tra una fotografia e l’altra ci rammenta quanto siamo spettinati quel giorno, o (per gli affezionati narcisi) quanto siamo impeccabili, nei dettagli se possibile, tant’è il riflesso.

Valentina Fiore


Lisette Model e la sua scuola. Fotografie 1937 - 2002

a cura di Diana Edkins e Larry Fink

dal 2 Settembre al 2 Novembre 2008

Museo di Roma in Trastevere

www.museodiromaintrastevere.it

 

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