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Valle Giulia Occupata

Sono i laboratori di proprietà della facoltà di Architettura Valle Giulia dell’Università “La Sapienza” che ospitano questa piccola mostra; a vederli dalla strada sembrano più dei capannoni in disuso. Pare strano che qualcuno abbia scelto questo posto come una delle sedi del festival. L’Auditorium Parco della Musica è dietro l’angolo, forse hanno puntato su questo grosso polo d’attrazione per catturare un po’ di pubblico, ma gli orari d’apertura non coincidono con quelli degli spettacoli e il pomeriggio di passaggio ce ne è molto poco qua! L’esposizione si sviluppa essenzialmente in due sale e un piccolo corridoio d’accesso nel quale sono affissi decine di scatti fotografici di piccolissime dimensioni e di difficile lettura.

Ad uno sguardo più attento si riconoscono comunque ordinarie scene di guerre, di occupazione, di violenze varie, di cortei e corpi feriti. Le piccole foto sono ĺ riunite in un unico pannello andando coś a comporre un’unica grande fotografia: come a dire che tante piccoli eventi realizzano una sola, univoca grande storia. Tante facce di un’unica medaglia. E’ il contesto dell’occupazione, della guerra quello che ci si presenta davanti, visto con l’occhio freddo della macchina da presa. Sono scatti amatoriali che partono senza nessuno scopo ma che calati in quella realtà assumono tutto il senso del reportage. Troppo abituati noi a vedere solo immagini dal fronte. Ma vanno anche oltre. Divengono ottimi strumenti di analisi critica proprio perché ci rendono quella giusta distanza dai fatti, senza tuttavia sminuirne il peso. Documentano, esaurendo uno dei compiti principali della fotografia, e mettono in luce cị che altrimenti ci sarebbe sconosciuto. Dal corridoio si accede in un’ampia stanza dove trovano posto degli espositori nei quali sono riportate in misure standard tutte le fotografie che componevano il grande pannello precedente. E’ un deja-vu continuo. Il senso di questa sala rimane alquanto incerto.

C’è sicuramente la volontà di riproporre ai visitatori le scene già viste in dimensioni adeguate per una migliore comprensione. Sono presentate una accanto all’altra senza particolari divisioni tematiche o stilistiche. Sono immagini che lavorano insieme, che si caricano a vicenda nel gioco di accostamento e sovrapposizione e quindi se lodevole è stata l’intuizione di averle riunite in “una sola grande foto” poiché se ne sottolineava l’importanza e  il valore, ora peṛ coś si toglie loro ogni emozione e coinvolgimento, restituendo un prodotto freddo e “sotto-vetro” (sono proprio esposte coś). L’ultima sala presenta due video sulle condizioni di vita delle popolazioni che abitano le terre occupate. Mostrano grandi paesaggi sabbiosi e aridi, desertici, dove veramente di vitale c’è ben poco. La mostra è tutta qua! Non occupa più di 15 minuti a chi ha occhi attenti.

Dopo i video si ripercorre il breve percorso a ritroso e si riesce da dove si è entrati e il sole è ancora alla stessa altezza. E’ interessante, forse, notare il titolo scelto che differisce da quello dell’intera manifestazione senza tuttavia alterare minimamente l’impostazione che si è voluto dare al festival: “Vedere l’Occupazione” al posto di “Vedere la normalità”. Si associa quindi l’idea dell’occupazione ad una condizione naturale, quotidiana, che si vive senza particolari meraviglie e speranze di cambiamento. Cị che quelle fotografie ci restituiscono sono le scene che quelle terre vivono ogni giorno e che ormai sono diventate familiari, quasi identificative. D’altronde neanche io me ne stupisco più.  Oltre questo tema la mostra non offre molto di più; sarebbe cattivo ma in definitiva giusto affermare che la sede è adatta all’esposizione e che insieme (a differenza delle foto) si sminuiscono a vicenda.

Fabrizio Manzari


Vedere l'occupazione. Foto e video dal Sahara Occidentale

dal 5 aprile al 10 maggio 2008

Villa Glori, Via Argentina 10 - Roma

www.fotografiafestival.it

 

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