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Intervista a Bruna Pecciarini

L’intervista che segue è una piccola testimonianza di una grande artista, che ha interpretato e fatto proprie alcune delle idee  del Movimento di Arte Concreta, proponendo una propria sensibilità di immagine astratta. Il lavoro di Bruna Pecciarini si accosta a quello di altri artisti liguri (Giuseppe Allosia, Silvio Bisio, Gianfranco Fasce, Plinio Msciulam e Martino Oberto)  che all’inizio degli anni Cinquanta sono entrati a far parte del MAC, nato a Milano nel 1948. All’interno delle molteplici e plurali ricerche espressive del Movimento, la forma dei genovesi è caratterizzata da un colore più denso e da una composizione più agitata e intricata rispetto alla stesura composta dei concretisti milanesi. Con il desiderio di incuriosire il lettore, le domande e le risposte che seguono sono solo delle tracce di quello che è stato un importante momento dell’arte italiana e presentano il punto di vista di un artista vivente. Di seguito un modesto contributo per chiunque volesse intraprendere lo studio e l’approfondimento di un periodo storico su cui forse, troppo raramente, cade l’attenzione di noi studenti di arte contemporanea.

Bruna Pecciarini è nata a Agliana (provincia di Pistoia) nel 1926, vive a Roma.

1.D: Come è nata la sua passione per l’arte?

R: Non è stato facile; quando ho cominciato a dipingere -prima a scuola e poi all’Accademia Ligustica di Belle Arti a Genova, che fu bombardata durante la guerra- iniziavo a capire che la mia strada era la pittura. I primi contatti con artisti e con l’ambiente dell’arte li ricordo al tempo di una serie di mostre, che dal 1949 circa erano organizzate annualmente dal sindacato regionale degli artisti a Genova; partecipai con una Natura morta. Qui ho avuto contatti con altri artisti.

2.D: La sua ricerca artistica evolve dal figurativo e arriva all’astratto, come?

R: Cominci a “scaricare” di più, poi a farti una cultura, a conoscere altri artisti ed ambienti. Quando avevo 22 anni, la mia prima personale presentava opere figurative; dopo ho cominciato a scomporre  il soggetto, reinterpretando la lezione cubista. Negli anni Cinquanta, ho iniziato facendo della pittura dal vero nel porto di Genova, di cui ho sempre subito il fascino per le sue forme e i suoi colori. Esposi il Rimorchiatore, un quadro che ebbe molta fortuna, dove avevo inserito sia elementi figurativi che non, poi di li arrivare all’astratto è stato facile. Inizialmente ho fatto un astratto di tipo un po’ pittorico.

3.D: Cosa ha significato fare arte da DONNA? C’era solidarietà tra le artiste?

R: Ai miei tempi non era facile dipingere per una donna e contrastare i pregiudizi degli uomini, prevenuti e assolutamente distanti dall’apprezzare una ricerca elaborata da artiste. La “solidarietà” non c’era perché, a Genova, c’erano solo artiste figurative mentre  a Torino lavoravano anche donne indirizzate verso una ricerca più “concreta”, ricordo Paola Levi Montalcini e Carol Rama. Io non le ho mai conosciute.

4.D: E non c’era voglia, curiosità di incontrarle? R: Da parte mia per niente, non mi interessava, non so, non si usava. In tutta Italia erano poche le donne che dipingevano con una mentalità d’avanguardia e di ricerca, con l’obiettivo di dire qualcosa che non fosse il semplice soggetto figurativo.

5.D: Dunque il cubismo come influenza maggiore, è stato il gradino che le ha permesso di passare dal figurativo all’astratto?

R: Certamente, la visione scomposta degli oggetti. Ad un certo punto ho eliminato le curve, dopo il 1953.

6.D: Se in un primo momento, che vedeva la ricerca artistica aniconica tesa alla negazione di qualsiasi figurazione,  è possibile accostare l’ espressività “informale” a quella astratto-concreta, dopo, come si pone Bruna Pecciarini?

R: Sicuramente il rifiuto della rappresentazione iconica è alle base di entrambe le ricerche artistiche, anche se a noi non piaceva l’informale (ne essere definiti come informali), eravamo un piccolo gruppo di pittori astratti concreti (il MAC nasce nel 1948 a Milano, Bruna ci entra nel 1952). Nel 1953 la famosa mostra del MAC presso la Galleria San Matteo che al centro di Genova, si dedicava a mostre d’arte d’avanguardia, presentava adeguatamente le linee della nostra ricerca artistica; in questa occasione furono presentate le opere di Bruno Munari, Atanasio Soldati, Plinio Mesciulam e pittori di altre città italiane facenti parte del gruppo MAC.

6.A.D: La vostra ricerca era in rapporto con i Romani?

R: Non c’è stato un rapporto diretto con gli artisti romani (Accardi, Perilli); Il MAC esigeva una purezza di colore, che non seguiva alcuna regola ed era completamente connesso ad una scelta interiore del pittore.

7.D: Una volta raggiunta l’astrazione, si arriva ad un punto; la ricerca tesa verso il raggiungimento di un qualcosa si ferma.. e dopo?

R: E dopo.. non sarei capace di adeguarmi al gusto del momento, potrei solo dipingere, forse ritornando al figurativo.

8.D: Dipinge ancora?

R: Quando vado in Germania da mia figlia dipingo, ora sto lavorando a dei soggetti figurativi (come un frutto, o un ortaggio con uno o due insetti) inseriti in grandi spazi: oggetti reali ma decontestualizzati, resi con colori molto vivaci. Per fortuna so dipingere … so come trattare l’olio.

9.D: Colgo un tono critico, è rivolto ai pittori di oggi?

R: Oggi non sanno dipingere, poi gli acrilici sono coś facili. I miei quadri mi costavano fatica, soprattutto pensare nello spazio la collocazione delle  forme, avevo individuato il mio stile che era caratterizzato da forme che finivano in punte ed angoli.

10.D: Chi ha lasciato qualcosa  nel suo lavoro tra le persone che ha conosciuto?

R: Tra le persone che ho conosciuto, Enrico Prampolini è stata una figura importante. Gli ho dedicato un mio quadro (Dedicato  Prampolini. Composizione astratta. 1954). Una volta andai nel suo studio con i miei bozzetti e lui ne scelse uno suggerendomi di farne un quadro grande; quel quadro glielo ho dedicato. In quell’occasione gli mostrai anche i bozzetti di costumi disegnati per alcune rappresentazioni teatrali, le apprezẓ e mi chiese se avessi collaborato con lui nel caso avesse accettato di realizzare una scenografia per il Teatro dell’Opera di Roma.

11.D: E ora si interessa dell’arte contemporanea?

R: Leggo i giornali, mi informo, ma vado raramente a vedere mostre; non mi sento attirata, non mi sembra ci sia più niente di nuovo. La prima volta che ho visto una installazione stavo a Berlino, era un’opera di Mario Merz, mi ha molto impressionata, ma io non sarei in grado di realizzare qualcosa del genere.

12.D: Quando si è trasferita a Roma e perché? Nel 1954 arrivo a Roma, dove ho partecipato a qualche collettiva, ma la mia carriera artistica si è conclusa qui senza pentimenti.

Claudia Cavalieri

 

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