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I volti feriti di Elena Pinzuti

Attraversare con lo sguardo le pareti di una galleria e vedere ovunque frammenti di volti. Perdere i  riferimenti fisiognomici delle facce che normalmente osserviamo per le strade delle nostre città e diventare piccoli dinanzi alla sofferenza. Rimanere concentrati nel silenzio immobile della riflessione. Tutto questo emerge dalle opere presentate da Elena Pinzuti nella personale romana intitolata “Hurt”, termine inglese che sta per “male, ferita, colpo”. Ferite dell’animo, ferite della memoria, ferite dei volti che vengono prima raccolte dallo strumento fotografico e poi impresse e reinterpretate sulla tela; percorso simile a quello tratto da un bellissimo passo del Diario di Etty Hillesum: «… non mi porto ritratti di persone care, ma alle ampie pareti del mio io interiore vorrei appendere le immagini dei molti visi e gesti che ho raccolto. E quelle rimarranno sempre con me».

Parole sagge in cui lo sforzo di selezione degli eventi diviene nullo rispetto al moto incessante dell’esistenza. Un’esistenza che spesso rimane legata alla prima parte che scorgiamo in una persona, il viso, che in queste opere assume caratteri fortemente legati allo stato d’animo dell’individuo. Nelle tele di maggiori dimensioni, volti sfocati ed incompleti trasudano stupore e paura costringendoci a domandarci cosa stiano provando questi individui, da quali sofferenze siano afflitti. I colori degli incarnati si stagliano su uno sfondo bianco che annulla ogni riferimento esterno, lasciandoci soli ed in totale empatia con l’opera, decretando il suo completo dominio su di noi. Si assiste coś ad una sorta di ribaltamento di prospettiva che ci conduce a specchiare il nostro io sulle tela e ad assumere le numerose fattezze che scorgiamo nelle sagome dipinte. Questo fenomeno di riflessione si attenua quando volgiamo lo sguardo verso 24 acquerelli, sistemati su due pareti, che ci mostrano le particolarità e le caratteristiche di ogni singolo essere umano, colto in un istante che sembra propagarsi in un tempo infinito.

La delicatezza dei colori e l’immaterialità dell’acquerello sottolineano la fragilità dei sentimenti e la casualità della loro durata, a cui l’uomo non pụ far altro che sottostare. Infine, nella serie dei ritratti di bambini morti, l’opera diviene denuncia della violenza e del fanatismo, riferendosi alla strage nella scuola di Beslan avvenuta nel 2004 ad opera di fondamentalisti islamici e separatisti ceceni, che causarono la morte di centinaia di persone, fra cui 186 bambini. L’intera parete della galleria è dedicata alla morte di queste vulnerabili creature, le quali vengono ritratte con gli occhi chiusi, pronti ad intraprendere l’ultimo viaggio della loro vita. A noi, lontani da realtà coś feroci, non resta che guardare e fare silenzio.

Simone Giampà


Hurt - Elena Pinzuti

dal 7 al 29 febbraio 2008

Galleria le “Opere”, Vicolo della Campanella 10 - Roma

www.gallerialeopere.it

 

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