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Gregory Crewdson. L'altra America

Da Roma agli Stati Uniti in un unico scatto. E' questa l'impressione che si ha osservando le fotografie che l'artista americano Gregory Crewdson sta portando in giro per l'Europa e qua a Roma nell'unica tappa italiana. Varie serie, tra le sue più importanti, con i lavori giovanili di quando era ancora studente, fra il 1986 e il 1988, o con opere in cui appare il fascino di una natura mistica ("Natural Wonder"), fino alle serie "Dream House" e "Beneath the Roses", sicuramente le più interessanti, fulcro della produzione dell'artista e intorno alle quali si muove un po' tutta l'esposizione.

Crewdson immortala un'America provinciale attraverso cui la società statunitense meglio si riconosce e si mostra veritiera, senza artefatti; lontana dai fasti e mondanità hollywoodiani eppure ancora fortemente cinematografica (come se l'immagine dell'America non possa prescindere dal mezzo cinematografico). Non a caso si trovano coinvolti negli scenari "costruiti" da Crewdson alcuni tra i più noti attori e non a caso le atmosfere che questi ci offre richiamano alla mente quelle dei film di David Lynch e Robert Altman, anche loro due registi molto attenti alla natura dell'altra faccia dell'America. Sono atmosfere di contrasto, dove l'"american dream" si infrange e svela una realtà molto più dura da digerire. Quella fatta di incomunicabilità. I personaggi fotografati non mostrano mai il viso, ma fuggono lo sguardo. Vivono un forte senso di colpa e consapevolezza del presente, vivono un innato pessimismo che spesso li porta alla depressione più cupa (nella quasi totalità delle fotografie esposte, a ben cercare, sono presenti le famose bottigliette color arancio contenenti pillole psichiatriche). Il rapporto con l'altro è completamente annullato; rimane solo quello con lo specchio, che non è certo consolatorio ma che, anzi, mostra spietatamente la loro reale condizione (corpi nudi, pillole nascoste nei beauty-case, water dove rigettare la quotidianità).

E' un'incomunicabilità assurda e tutta intima, sottolineata dalla presenza quasi ossessiva nelle opere dei tralicci per le telecomunicazioni che ossequiosamente e comunque molto disordinatamente si intrufolano nelle singole abitazioni...che cadono a pezzi; come a dire che le possibilità di un contatto ci sono. Il presente non appaga e il futuro è incerto, e le premesse non sono delle migliori. Persone agli incroci stradali che appaiono smarrite senza la voglia e la forza di proseguire. La fuga, quindi, come una delle soluzioni possibili, pare voler prospettare Crewdson. Su quelle stesse strade infatti (che sono la dimensione nella quale l'opera dialoga) dove la gente staziona disorientata egli posiziona auto ancora accese con gli sportelli aperti a significare l'evasione. Meglio fuggire, quindi, prendere possesso della nostra esistenza e cambiare, se non vogliamo morire (probabilmente suicidi) nel silenzio della nostra casa allagata ("Untitled" serie "Twilight" 1998-2002).

Fabrizio Manzari

 


Gregory Crewdson

a cura di Stephan Berg

dal 19 dicembre 2007 al 2 marzo 2008

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194 - Roma

www.palazzoesposizioni.it

 

 

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