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RUBRICA | Impertinenze

Una Galleria "borghese"

L’11 settembre rappresenta ormai da più di sei anni una data invisa all’uomo per motivi di portata planetaria, sia storico-politici che sociali. A livello strettamente personale, d’ora in avanti ricordeṛ questa data come una giornata di “lutto culturale”. Quest’anno infatti una tripla delusione a carattere storico-artistico ha funestato il mio 11/9: al mattino, dopo una levataccia a seguito di una notte passata sopra i libri a ripassare, appena giunto in università mi sono visto spostare l’esame di “semiologia dell’arte contemporanea” di una settimana causa assenza del docente, coś, senza il minimo preavviso (ennesimo episodio della serie capitatomi all’università La Sapienza; ma che sfiga sti professori, sempre alle prese con imprevisti dell’ultim’ora!). Dopo una lunga serie di improperi soffocati in gola, mi sono detto “pazienza”; avrei approfittato della mattinata “persa” per dare un’occhiata a qualche mostra. Mi sono spinto coś in zona Villa Borghese: non l’avessi mai fatto. Il secondo colpo basso della giornata l’ho ricevuto dopo essermi sorbito la modesta esposizione sul Simbolismo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, un percorso didascalico e senza sorprese su sentieri già ampiamente battuti dalla critica in merito a tale corrente: un vero esempio di come banalizzare una mostra. Dovevo assolutamente riprendermi e non mi demoralizzai, sicuro che alla vicina Galleria Borghese avrei dato un perché a quella mattinata. Nel ‘97, avevo appena 12 anni, rimasi entusiasta al termine della visita alle sale del museo; a distanza di 10 anni, non potevo esserlo altrettanto. Niente era cambiato, eccezion fatta, forse, per lo spostamento di qualche granello di polvere; all’apparenza una casa in disordine, un salotto in stile telemarket con opere ammucchiate una sopra l’altra senza coerenza (non che una scultura romana vicina ad una tela del ‘600 mi scandalizzi, ma sorge spontaneo interrogarsi sul rapporto che si stabilisce fra opere di differenti periodi: se non c’è relazione, che senso ha affiancarle?), illustrate da didascalie obsolete; mi sentivo nella wunderkammer di un signorotto ansioso di esibire il proprio patrimonio artistico. Nel recente passato sono capitato quattro volte al Centre Pompidou di Parigi: ogni volta vi ho trovato allestimenti diversi, opere mai viste in precedenza, percorsi innovativi frutto della messa in discussione della fruizione del patrimonio artistico da parte dei pubblici. Forse alla Galleria Borghese non hanno magazzini per alternare le opere e garantirne una migliore valorizzazione? O mancano curatori in grado di determinare il peso “aurale” che ogni manufatto possiede, originando coś questo allestimento confusionario? Sta di fatto che osservare la “Trasfigurazione” di Raffaello, la “Madonna dei Palafrenieri” e il “S.Gerolamo” di Caravaggio coś sacrificati (collocati troppo in alto, affiancati da altre opere importanti in uno spazio troppo angusto, oppure marginalizzati in un angolo) mi ha fatto pensare ad una gestione delittuosa dei beni artistici in possesso della Galleria. Qualora ai responsabili servissero dei curatori, sono disponibile a suggerire qualche nome.

Saverio Verini

 

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