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RUBRICA | Impertinenze

Gibellina, meglio conosciuta come "Gibruttina"

L’avevo inseguita per anni, da quando vidi per la prima volta un’immagine del Grande Cretto di Burri che sorgeva sui ruderi della vecchia Gibellina, rasa al suolo nel 1968 da un devastante terremoto. Gibellina era là, nell’Olimpo dei grandi siti artistici, quei luoghi “imprescindibili” per un cultore dell’arte contemporanea; assieme alla Gare d’Orsay e al Pompidou, a fianco della National Gallery e del Guggenheim di Bilbao, senza dimenticare la Tate Gallery e Berlino (praticamente tutta), solo per restare in Europa. Pensate ad una città interamente distrutta e poi ricostruita a 20 chilometri di distanza in maniera del tutto diversa dall’originale con il contributo di alcuni fra i più grandi architetti e scultori italiani: pura utopia. Eppure la proposta dell’allora sindaco di Gibellina, Ludovico Corrao, di dare dignità a questa nuova città venne presa sul serio dagli artisti: sparse per le vie del paese trovano posto sculture ed installazioni di “pezzi da novanta” (ne cito alcuni: Melotti, Spagnulo, Cappello, Arnaldo Pomodoro, Nunzio, Varotsos, Franchina, Isgṛ, Uncini, Spoerri, Staccioli Colla e Consagra, protagonista con diversi interventi a favore della causa, lui, siciliano di Mazara del Vallo), accompagnati da progetti architettonici meravigliosi, il “Sistema delle Piazze” di Purini (tre piazze rettangolari consecutive, in uno stile “metafisico”), la “Chiesa Madre” di Quaroni ed il “Meeting” disegnato da Consagra (un centro congressi che ha anticipato di non pochi anni lo “stile Gehry”). Sembra incredibile come la valorizzazione di cotanto patrimonio sia pari a zero: addirittura, sembra ci si voglia sbarazzare di queste testimonianze. Il Meeting di Consagra adibito a bar (con tanto di atroce scritta adesiva “paninoteca” appiccicata sui vetri), il Sistema delle Piazze trattato come fosse uno spiazzo qualsiasi in un barrio di Rio de Janeiro (pieno di cartacce, colli di bottiglia spezzati e scritte sui muri), la Chiesa Madre sembra un’installazione provocatoriamente dedicata al degrado. Si salva, almeno quello, il museo d’arte contemporanea, dove si trovano tutti i plastici degli interventi scultorei ed architettonici (vedere i modellini e la loro effettiva realizzazione/manutenzione fa venire il dubbio che le opere siano altrove) ed alcuni dipinti di valore (Guttuso, Accardi, Schifano…). Passando a Gibellina “vecchia” la musica non cambia. Per giungere all’imponente Cretto burriano bisogna percorrere una strada che pare solcata da briganti, malconcia e priva di indicazioni. Una volta in prossimità del cretto non si trova nemmeno una didascalia quando, inutile dirlo, un centro informazioni (costruito, perché no, sfruttando il recupero di qualche abitazione) sarebbe il minimo. Leggevo di un restauro del cretto, ma l’opera è davvero l’ultima cosa a necessitare di un restyling: prioritaria è semmai la creazione di un punto d’accoglienza per i visitatori (addirittura di una biglietteria: non credo sarei l’unico disposto a pagare per vedere l’opera di land art più grande al mondo) unita alla possibilità di usufruire di materiale informativo e ad una segnaletica decente. Dispiace per quest’occasione non sfruttata; in qualsiasi altro posto civile del mondo quest’immenso patrimonio sarebbe valorizzato come si merita. Qua pare già tanto che non si sia arrivati all’abbattimento di alcuni manufatti. Se fossi un artista, avrei già ritirato da un bel po’ il mio contributo.

Saverio Verini

 

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