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RUBRICA | Impertinenze

“Che la luce artificiale illumini la nostra chiesa...”

Se dicessi che questo è un articolo di protesta contro la Chiesa, esagererei, anche se ci sarebbe da dire tanto su di essa in quanto istituzione. Attenendomi al mio ambito, comunque, una protesta “s’ha da fare” e riguarda un piccolo, antipatico aspetto constatato durante alcune visite guidate.  Per uno studente di storia dell’arte vivere nella capitale è un enorme vantaggio, perché significa essere a contatto diretto con gran parte del patrimonio artistico italiano. Ed è abbastanza naturale andare a visitare ogni volta che si vuole una chiesa che custodisce tele, pale d’altare, sculture e quant’altro. Ma mettere mano al portafoglio per l’illuminazione di un luogo sacro aperto al pubblico è davvero troppo: è come pagare il biglietto per un museo. Si entra in una chiesa, sapientemente illuminata in modo da tenere al buio proprio le opere d’arte contenute, e chiunque le voglia vedere è costretto a pagare. A riscuotere la tassa è il custode, naturalmente senza lasciare alcuna ricevuta; dà tutta l’impressione di “custodire” meglio i propri interessi: chi ci vieta di pensare, infatti, che quei soldi non finiscano direttamente nelle sue tasche? Racconto un episodio accaduto qualche tempo fa: una quarantina di studenti entra in una chiesa del centro di Roma, accompagnati da una professoressa, per una lezione; alla richiesta di illuminare la navata centrale e le cappelle laterali, il custode pretende l’assurda cifra di cinquanta euro. Se fosse successo all’inizio del Quattrocento, probabilmente Masaccio avrebbe trovato l’ispirazione per dipingere la scena de “Il pagamento del tributo” nella Cappella Brancacci a Firenze, perché la cornice era davvero simile; peccato, peṛ, non aver trovato tale somma nella bocca di un pesce. Similitudini a parte, l’uomo si è dimostrato poi molto attento a spegnere accuratamente le luci di ogni cappella, subito dopo il passaggio del gruppo, per non permettere ad altri turisti di visitarle senza passare da lui. Sicuramente, un episodio come tanti; in altre chiese, più tecnologiche, bisogna inserire direttamente le monete in dispositivi che illuminano automaticamente una cappella per non più di pochi minuti; poi, d’incanto, torna il buio e di nuovo l’obbligo di rimettersi le mani in tasca a cercare altri spiccioli.  Forse lasciare la luce per dieci ore al giorno è uno spreco, ma basterebbe premettere a un turista, su richiesta, di poter vedere con tranquillità tutta l’arte che vuole. Dov’è finita la carità?

Antonio Pizzolante

 

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