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RUBRICA | Impertinenze

Cattelan e le storie tese

Tutti i presenti, ordinatamente seduti nella sala delle colonne del MAXXI, si voltano ogni cinque secondi verso l’ingresso, in attesa del suo arrivo. L’incontro è fissato per le dieci; manca un quarto alle undici e ancora non s’è visto. In fondo, ci ha sempre abituati alle sorprese. Ma stavolta non è uno scherzo, lui non arriva per davvero. Anche lo scorso  24 marzo Maurizio Cattelan è riuscito a creare un evento nell’evento: l’occasione era la consegna del premio alla carriera all’artista veneto da parte delle fondazione Quadriennale di Roma, riconoscimento che solitamente spetta a protagonisti di lungo corso della scena artistica italiana. Il comitato scientifico della Quadriennale (composto da Suzanne Pagé, Gerald Matt e Vicente Todoĺ) ha invece deciso di assegnare il premio al “giovane” (sempre per i canoni italiani) Cattelan, neanche cinquantenne. Dopo la classica prolusione da parte del presidente della fondazione, Gino Agnese, ci si aspettava un segnale da parte dell’artista, ma niente; fino a quando non è spuntato dalla porta d’entrata nientepopodimenoché Elio (al secolo Stefano Belisari) del gruppo musicale “Elio e le Storie Tese”. Il cantante si è accomodato al centro del tavolo, proprio nel posto che sarebbe spettato all’artista, e si è subito presentato precisando che il suo nome si pronuncia “Càttelan”, non “Cattelàn”. Ha ricevuto il premio e stretto la mano al presidente della Quadriennale, tenuto un breve discorso a margine della consegna della medaglia, interloquito col pubblico: insomma, ha fatto il “Cattelan” in tutto e per tutto. Un po’ divertiti e un po’ irritati, sicuramente spiazzati, i presenti hanno rivolto alcune domande a “Elio Cattelan” il quale, attraverso risposte secche e stringate, assolutamente serie, ha – ovviamente – respinto ogni possibile dibattito sul merito artistico, ammettendo persino di “non sapere chi sia Duchamp”. Cattelan non è nuovo a “numeri” di questo genere: già nel 2004, quando si tratṭ di ricevere la laurea honoris causa dall’università di Trento, sped́ al suo posto un asino imbalsamato (“Un asino tra i dottori”, il titolo dell’intervento). Stavolta ha presentato un sostituto in carne ed ossa, per di più difficile da far passare inosservato: un’operazione in perfetto stile Cattelan, forse più rappresentativa del suo modo di fare arte rispetto a centomila discorsi. Uno stile che non permette di comprendere realmente fino a che punto arrivino denuncia e provocazione e dove inizi l’ironia fine a se stessa, la “furbata”. Uno stile che non contempla sfumature: o si ama o si odia. Viene solo da chiedersi: non era un po' troppo “facile” impostare il giochino con un personaggio del calibro di Elio? Insomma, non sarebbe stato più incisivo e provocatorio inviare, che so, un operaio la cui azienda è in crisi, un contadino che magari non sa cosa sia il “sistema dell'arte” o comunque una persona capace di porre davvero problematiche e mettere a nudo l'autoreferenzialità di certa arte contemporanea senza rifarle il verso? Ma soprattutto: chi ritirerà un premio musicale quando il riconoscimento andrà a Elio?

Saverio Verini

 

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