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SPECIALE | Roma, MACRO: dietro il progetto

Committente: COMUNE DI ROMA

Azienda esecutrice: STUDIO ODBC, Odile Decq – Benoit Cornette

ESPANSIONE E RISTRUTTURAZIONE DEL MUSEO DI ARTE CONTEMPORANEA DI ROMA (M.A.C.Ro)

Acquario Roma – Casa dell’Architettura, Roma, Aprile 2001:
“Il progetto si presenta attento al legame con il quartiere e la città, proponendo uno spazio aperto e percorribile al pubblico anche nelle ore di chiusura della Galleria. Il progetto, permeabile e fluido, crea uno spazio di relazioni riuscendo a rendere dinamico il rapporto con i servizi e le prestazioni museali offerte. Inoltre il progetto, ribadendo il rapporto con la preesistente Galleria, conferma l’ingresso precedente, rafforzando la relazione di continuità tra il vecchio e il nuovo edificio, che si mostra, di volta in volta, preludendo alla scoperta e all’esplorazione dell’esperienza artistica. Il progetto, inoltre, sottolinea il consumo e la fruizione dell’arte come esperienza quotidiana.
L’impianto architettonico risponde in modo adeguato e con una forte carica sperimentale alle più attuali esigenze espositive e di comunicazione richieste nel bando.
Il progetto, nella sua articolazione di spazi, percorsi, piazza, giardino fa si che la Galleria diventi luogo di esperienze e non solo contenitore statico”.

Queste le motivazioni che sancirono la vittoria del progetto dell’architetto francese Odile Decq per l’ampliamento del museo romano MACRO.
Da quella data si è cercato di dare a quelle parole un senso.

MACRO, Via Reggio Emilia, Roma, 29 Maggio 2010:
Oggi e in occasione del  “week-end romano dedicato all’arte contemporanea” si è potuto visitare anche questo nuovo gioiellino, e scusate se il termine può sembrare riduttivo.
Un’ottima opportunità per monitorare da vicino l’andamento dei lavori e prefigurare ciò che sarà in vista dell’apertura definitiva in autunno.
Ancora alcuni mesi perché le parole di nove anni fa diventino realtà!

Prima occhiata: il più sembra essere già fatto.

Per il progetto sono state individuate due diverse aree tematiche che devono essere nello stesso tempo sia connesse (facendo parte di uno stessa identità) sia separate, da un punto di vista concettuale: un’area della modernità, data nei vecchi spazi del MACRO e un’area più aperta, soggetta alle mutevoli ed eterogenee esperienze del contemporaneo da sviluppare nei nuovi spazi dell’ampliamento.
Centrale nella definizione delle due aree è il gioco di relazioni che intercorre tra loro, ma anche con lo spazio circostante della città. Deve, infatti, attestarsi come spazio unitario in cui fare un’esperienza dell’arte, che rimanga aperto ad altri tipi di attività, che sia al servizio della collettività e che si offra a questa nel modo più aperto possibile. Fondamentale proprio per il rapporto con l’esterno è lo spazio foyer- accoglienza, che assume un ruolo primario nel complesso, pensato come centro attrattore – una sorta di piazza del contemporaneo- che presenti ed esalti le diverse attività offerte, “smistando” l’accesso e la distribuzione del pubblico ai servizi ad utenza gratuita (caffetteria, bookshop, libreria ecc), alle funzioni ad accesso controllato e ai servizi di supporto.
L’idea principale nel programma funzionale pensato dal committente è quello di creare un “percorso dell’arte” che riconnetta “frammenti” espositivi. Una strada della storia dell’arte che interessi gli edifici del complesso già esistente, partendo da quelli che oggi sono i magazzini (nel piano interrato) per arrivare ai piani superiori. Contemporaneamente, la ridisegnazione delle aree aperte che acquisiranno sempre di più carattere di luogo pubblico, determinando un naturale passaggio, senza soluzione di continuità, dalla collezione permanente alle installazioni e sperimentazioni di arte contemporanea per cui è stato pensato l’ampliamento. Un percorso, quindi, verso l’arte attraverso l’arte.
La volontà è quella di avere non un semplice luogo espositivo neutro (la “white box”) in cui la qualificazione formale sia ridotta al minimo ma, al contrario, un luogo altamente complesso e flessibile e soprattutto tecnologicamente adeguato. Uno spazio che sia già di per sé una sperimentazione e un’esperienza di arte contemporanea, fortemente connotato nella sua funzione di supporto ad eventi di produzione artistica. Nella realizzazione del progetto era chiesto ai concorrenti di considerare la collocazione, all’interno della struttura, di tutta una serie di servizi aggiuntivi che vanno ad ampliare le competenze e gli strumenti del MACRO per garantire al pubblico un servizio complesso e multimediale: uffici per la direzione, magazzini, laboratori, spogliatoi per il personale, spazi per la sessione didattica, un nuovo spazio per la Mediateca e il Centro di Ricerca e Documentazione Arti Visive (CRDAV) e una sala conferenze, più gli indispensabili bookshop, biblioteca e caffetteria.
Se si analizza il progetto dell’architetto francese (figg.1,2,3), difatti, si scorge che in questo ci sono tutte le caratteristiche a cui il committente aveva accennato nella presentazione del bando di gara. Gli aspetti dell’arte contemporanea sempre così in ballo, in esplorazione di nuove strade e nuovi contesti è illustrato perfettamente nel modello proposto.
I realizzatori giocano sapientemente con la disposizione degli spazi interni, visto che quelli esterni non possono essere modificati in alcun modo: l’entrata (che è poi stata subordinata ad un’altra posta all’angolo della direttrice stradale principale, Via Nizza), l’ingresso, i percorsi, le rampe e il giardino panoramico sono concepiti come luoghi in cui il visitatore viene invogliato a muoversi (figg.4,5).


Pianta generale del progetto di Odile Decq, MACRO, Roma.

Tutti organizzati intorno ad un ampio spazio (il foyer) che, se considerato dalle diverse entrate, risulta animato da numerosi flussi incrociati di visitatori che si spostano all’interno dell’edificio. Si tratta di una varietà di percorsi che offrono al visitatore svariate possibili letture della mostra in esposizione. La percezione che ne risulta del foyer non è affatto accentrata ma, anzi, si apre a nuove prospettive, ed è percorso da un forte senso di dinamismo e tensione che offre ai visitatori l’attrattiva di una scoperta continua.


Sezione A del progetto di Odile Decq, MACRO, Roma.

La parte dell’edificio situato in via Reggio Emilia rimane pressoché inalterato nella composizione, continuando ad essere connotato dalla sua unicità e linearità; cambia invece lo scorcio che da questa si apre con panorami creati dal nuovo giardino, dalle scalinate che collegano i due livelli, dal tetto con la terrazza e il ristorante.


Sezione B del progetto di Odile Decq, MACRO, Roma

La parte nuova entra, così, da subito in relazione con le preesistenze e con lo spazio urbano circostante dal quale, però, risulta pressoché invisibile. Questa rappresenta un’articolazione di forte impatto tra vecchio e nuovo e di apertura verso la città.


Veduta interna dalla galleria vetrata, MACRO, Roma


Nuovo ingresso angolo V. Nizza, MACRO, Roma

La particolare superficie del tetto (fig. 6), sicuramente l’elemento caratteristico di tutto il progetto, è un’area di aggetto dell’elemento architettonico sottostante e si presenta di per sé come un’opera di arte paesaggistica. Vi si insedia un terrazzo-giardino che può essere utilizzato per le più diverse finalità, da insediamento artistico, a giardino panoramico sulla città riservato alla gente che vive nella zona, agli artisti o agli studenti. Il pavimento del giardino “sospeso” non è pianeggiante, ma si articola tramite rampe e linee di fuga e anche se, chiaramente, nasce come giardino artificiale ha tutte le componenti di uno naturale: molteplici strati, elementi svariati tra cui si mette in evidenza l’acqua; utilissima soprattutto in estate per stemperare la calura e creare gradevoli giochi di luci. Inoltre, i pannelli di vetro situati sulla parte superiore della struttura, possono essere aperti. In tal modo l’aria può fuoriuscire dall’ingresso e, fluttuando vicino all’acqua corrente, si rinfresca creando una lieve ventilazione.



Veduta del tetto giardino, MACRO, Roma

Questo elemento, quindi, si riappropria di tutte quelle sensazioni e prerogative tipiche dei giardini, in un’età così poco propensa alla riflessione, alla calma e al contatto con la natura.
Oltre che luogo di pace e tranquillità, il tetto-giardino può essere riservato anche a mostre all’aria aperta. Infatti, nel progetto, si fa notare come le facciate dei palazzi circostanti, per la loro conformazione, colore e struttura possono divenire schermi e sostegni per le eventuali proiezioni.
La sala espositiva principale si sviluppa nella zona specifica, come richiesto nel bando, e da qui parte una sorta di “zeta rossa”, come l’hanno definita i progettisti, che attraversa il cortile, l’ingresso, il giardino e il tetto, rinforzando l’idea iniziale di percorso e dinamicità e dividendo nello stesso tempo le aree tematiche evidenziate nel programma funzionale. Un vero e proprio “fil rouge” che accompagna il visitatore nella scoperta del museo.
In opposizione al dinamismo degli spazi circostanti, le aree espositive e quelle riservate alle manifestazioni in genere, hanno potuto essere pensate in maniera più neutrale. Si sviluppano in uno spazio irregolare, anche se semplice, pensato per gli artisti, che si presta alle molteplici possibilità espositive: pensili, in sospensione, mobili o a terra.
Queste aree possono essere utilizzate come unico grande locale oppure essere suddivise in aree di diversa grandezza. Si tratta, perciò, di uno spazio versatile e multiuso.
Le rampe e i corridoi, oltre ad essere sistemati in maniera adatta e comoda sono anch’esse funzionali alla percezione delle opere esposte; consentono, infatti, di considerare le stesse da diverse angolazioni o girandovi intorno da diversi livelli. Le sale sono pensate come uno strumento in mano ai curatori e agli artisti, visto la loro centrale partecipazione nelle operazioni di sistemazione.
Il centro informazioni e la biglietteria sono situati all’ingresso in un’unica area rigorosamente definita che è a contrasto con la fisionomia della sala conferenze che si trova al piano superiore. Questa si innesta al centro dell’intera struttura e impartisce la direzione ai vari corridoi laterali che portano alle sale dei laboratori, dei servizi e del guardaroba allineati lungo l’edificio recuperato di via Nizza.
Al primo piano trovano posto la raccolta di studi e le aree sperimentali, che con la presenza della libreria si connota come piano dedicato alla ricerca.
Le aree educative, il punto di accoglienza degli ospiti e il ristorante sono situati al secondo piano al di sotto della struttura del tetto. Tutte queste zone sono accessibili dalla scalinata all’aperto e con gli ascensori.
In generale la circolazione tra i vari livelli è attuata tramite le rampe e le scalinate che partono dal foyer.
Visti i gravi problemi della città di Roma, e soprattutto di questa zona, relativi al parcheggio per i veicoli privati e data l’insufficienza e l’inadeguatezza del “parking” sviluppato per l’apertura della Galleria nel 1999, non poteva venir meno la realizzazione di posti auto sviluppati su due livelli interrati proprio al di sotto del nuovo museo.
Questo interessante progetto dell’architetto francese è uscito vincitore tra altri quattro progetti giunti in finale. Si tratta, per molti, di una vittoria strameritata che va ad affiancarsi a quella riportata da un’altra architetto, Zaha Hadid (Baghdad 1950), per la creazione del Museo Nazionale delle arti del XXI secolo (MAXXI). Questi sono, infatti, esempi di come ci sia la volontà da parte degli organismi di governo di rinnovare, in senso ampio, la percezione e l’offerta di arte contemporanea nel nostro paese. Si è finalmente fatta strada l’idea che l’arte abbia bisogno di una grossa spinta innovatrice per poter riprendere slancio, che non esistono più limiti ad interventi contemporanei sulla tutela del nostro patrimonio artistico, da applicare attraverso la nuova architettura. E’ dal museo, infatti, che partono tutte le possibili linee di sviluppo, dove si concentrano le energie necessarie per battere nuove strade ed è proprio nella sua progettazione che l’architettura sta registrando profondi cambiamenti che ne stanno rivoluzionando l’idea. Ciò che emerge dalle nuove realizzazioni è la visione di un museo vivibile, di uno spazio “abitabile” , di un luogo che assolva i compiti di una moderna piazza dove ci si possa incontrare e fare esperienza. Inoltre, in Italia, servivano interventi significativi che rivalutassero l’idea del museo visto sempre più come luogo grigio, noioso e didascalico.
L’ampliamento pensato per il MACRO sembra rispondere perfettamente a questa esigenza. Gli spazi molto vasti e differenziati, facilmente rinnovabili e modificabili, data la loro flessibilità, sono pronti a proporre un’adeguata e varia offerta culturale, oltre a molteplici servizi aggiuntivi che ne determinano e qualificano le finalità. Il progetto appare nella sua interezza come un grande azzardo, come un grande esperimento che cerca di dare risposta alle esigenze del museo contemporaneo; ma quello che più importa è che segna un netto cambiamento di rotta nel trattare la conservazione dell’arte. Come nota in un breve paragone Gianluca Andreoletti, gli altri progetti, soprattutto quello di Nicola Di Battista (Teramo, 1953),


Pianta generale del progetto di Nicola Di Battista

radicalizzavano meno questo concetto fondativo di esperimento contemporaneo e di nuove funzionalità museali, ed è questo il motivo per il quale ha prevalso la scelta di Odile Decq. Il suo progetto ha la particolarità di aprirsi ad ogni esperienza, di risultare sempre nuovo, di determinare quella “capacità attrattiva” che tanto si chiede ai musei moderni per riuscire ad attirare una vasta utenza, senza contrastare l’attività principale: l’esposizione e la ricettività. Proprio per questo il lavoro dell’architetto francese ha l’attenzione di inserirsi in stretta comunicazione con il contesto urbano andando a modificare alcuni elementi cittadini e introducendone di nuovi, come ad esempio la passeggiata interna che, unendo due angoli del lotto, costituirà non solo una via di accesso ma anche luogo di sosta e di incontro.
Il lavoro di Di Battista (figg. 7,8,9), scelto come secondo, trattava la composizione del museo in un’ottica completamente diversa, tendendo al recupero dell’esistente e controllando il gesto formale.



Prospetto via Nizza del progetto di Nicola Di Battista

Nelle intenzioni dei progettisti c’era la volontà di dividere totalmente le funzioni del museo tra la parte esistente e quella di nuova costruzione. Gli edifici di via Reggio Emilia, adeguatamente ristrutturati, per la loro geometria non ritenuta idonea per uno spazio museale contemporaneo, avrebbero dovuto ospitare tutti i centri di documentazione, la biblioteca e gran parte dei servizi volti alle attività di studio. L’intera nuova area, invece, disegnata intorno ad una grossa arena a triplice altezza, sarebbe stata a disposizione per accogliere la collezione e l’organizzazione di eventi. Ovviamente i collegamenti tra le due entità così distinte sarebbero stati garantiti anche da un passaggio interno (andandosi ad avvicinare, in questo modo, all’idea di passeggiata dell’arte). La contemporaneità del nuovo museo sarebbe stata messa in evidenza dal contrasto con l’adiacente Villa Albani, simbolo dell’antico, al quale sarebbe stata unita da un intelligente percorso interattivo, di semplicissima realizzazione, data l’esistenza di un asse tra le due costruzioni. Asse peraltro sottolineato da un secondo ingresso, direttamente su via Nizza che si ricollega al passaggio interno che, in questo modo avrebbe creato una passeggiata pubblica. Si voleva, così, sottolineare la persistente presenza nella città di testimonianze antiche, ma che queste avrebbero potuto convivere benissimo ed integrarsi pienamente con contesti culturali molto più moderni. Inoltre, una così stretta corrispondenza avrebbe favorito il senso di appartenenza con Roma e i suoi artisti.


Prospetto via Cagliari del progetto di Nicola Di Battista

Quello che sicuramente non ha permesso a questo progetto di vincere è stata la mancanza di azzardo e novità, di rottura degli schemi, che invece caratterizza pienamente quello vincitore. La disposizione degli spazi interni con la loro articolazione troppo “regolare”, la ferrea divisione delle competenze tra gli edifici forse si andava ad inserire troppo nel solco di quella tradizione che invece voleva essere superata. Questo progetto nasceva da una volontà conservativa e di recupero degli elementi architettonici, in relazione al quartiere Salario. Ciò che ha spinto i componenti della giuria a optare per il lavoro di Odile Decq, è stata proprio la valenza comunicativa del progetto, come oggetto fortemente innovativo, di rottura nel sistema architettonico definito e quindi canale privilegiato di attrazione del pubblico.

Scopo della committenza era quello di realizzare a Roma un edificio che si connotasse per la sua forza espressiva, capace di inserirsi senza traumi nel contesto urbano (soprattutto il contesto di quella zona molto travagliato e afflitto da varie deficienze) e allo stesso tempo di rivoluzionarlo. Questa ha cercato di cogliere l’occasione dell’ampliamento per fondare un futuro sviluppo dell’architettura in città che si scrollasse di dosso la difesa della conservazione e si buttasse alla sperimentazione intelligente. Il progetto di Nicola Di Battista ha incontrato un’ottima concorrente che ha centrato meglio di tutti i punti richiesti.

Fabrizio Manzari


dal 29 al 30 maggio 2010
MACRO, Via Nizza (angolo Via Cagliari) - Roma
www.macroeventi.org
www.macro.roma.museum

 

 

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