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Siamo tutti veterani


The Veterans Book Project, Exhibition overview, courtesy the artist and Nomas Foundation

«Questa è una sala di lettura. Dei libri ti aspettano: sono di un soldato, di un genitore, di un fratello, tutti ugualmente colpiti dalle guerre americane di questi anni. Ogni volume riattiva uno dei tanti, temporanei, archivi di immagini conservati in America; si trovano lì, diversamente dalle guerre che vi sono ritratte. Volevo vedere cosa sarebbe stato possibile rivelare. Non ho dunque scritto io i libri, anzi non si dovrebbe neppure pensarli separatamente ma ramificati in una biblioteca in continua espansione».
È questa la dichiarazione d’intenti con cui si apre la mostra di Monica Haller, artista statunitense. Già, artista e statunitense: dettagli non trascurabili, visto che le questioni chiamate in causa da The Veterans Book Project riguardano proprio il doppio status di Haller. L’idea, infatti, è quella di indagare le possibilità di rappresentazione degli orrori della guerra (punto di vista ‘artistico’ o quantomeno ‘estetico’) partendo dalle testimonianze dei reduci delle guerre USA o delle persone a loro vicine (punto di vista ‘americano’). In realtà Monica Haller va oltre i cliché imposti da questa duplice veste. Da una parte, infatti, la raccolta di racconti, fotografie, ricordi, immagini delle guerre avviene attraverso un metodo che tocca altre discipline (psicologia, antropologia, storia); dall’altra, la nazionalità americana è un punto di partenza che facilita la comunicazione e l’empatia con i reduci interpellati, ma che non esclude la possibilità di estendere il progetto ad altre categorie, in futuro (la stessa Haller ha dichiarato, per esempio, d’essere interessata alle vicende dei rifugiati, a prescindere dalla provenienza).


The Veterans Book Project, Exhibition overview, courtesy the artist and Nomas Foundation, ph Christina Clusian

Quello di Haller è, dunque, un racconto trasversale, nel quale si combinano elementi disparati. L’esito è stato brillantemente tradotto in un progetto espositivo dalla Nomas Foundation, sotto la curatela di Stefano Chiodi. Gli spazi della fondazione romana sono stati convertiti per l’occasione in biblioteca, con tanto di tavolo di consultazione, lampada e – ovviamente – i 28 libri che compongono il progetto. Una mostra-laboratorio, insomma, profondamente concettuale e al tempo stesso marcatamente ‘visiva’: come negare, infatti, il valore estetico del libro e dell’allestimento? L’opera risiede proprio nell’oggetto-libro, un prodotto comune, da replicare e divulgare, da far viaggiare. E non è un caso che l’artista abbia dato la possibilità di scaricare i pdf dal sito veteransbookproject.com, attraverso il quale si può comprendere il tentativo di far riemergere il rimosso dell’esperienza di guerra; il sito – come del resto i libri – è un mosaico con cui si cerca di ricomporre la frammentarietà dei discorsi e dei ricordi post-bellici, frutto del cortocircuito generato dall’iper-esposizione delle immagini di guerra nei media e l’impossibilità di capirne fino in fondo la tragicità. In questo senso, l’obiettivo di Monica Haller è quello di testare il limite dell’immaginario legato alla guerra, mettendo in luce come un fatto sia tale solo a partire dal momento della sua registrazione e successiva riproduzione. Un evento non è accaduto, non accade e non accadrà se non è ‘ripreso’; anzi, pare proprio che esista in funzione di una registrazione e di una ostensione.


The Veterans Book Project, Exhibition overview, courtesy the artist and Nomas Foundation, ph Christina Clusian

La valenza teorica della riflessione portata avanti da The Veterans Book Project non si ferma qua, ma si estende ulteriormente verso due ambiti: il ruolo dell’artista e la funzione del libro
Per quanto riguarda il primo aspetto, Haller si fa interprete perfetta dell’approccio delineato dal critico Nicolas Bourriaud in un suo testo chiave, Postproduction: l’artista è un registratore che raccoglie stimoli dal mondo esterno, rielaborandoli e remixandoli per dal luogo all’opera. Lo statement iniziale nel quale Haller afferma di non essere l’autrice dei libri la dice lunga: e mette in evidenza come sia la componente relazionale – di nuovo un tema caro a Bourriaud – a caricare di senso la sua operazione, frutto appunto dello scambio e della collaborazione con i reduci e i lettori.
Proprio i lettori sono chiamati a fare la loro parte, ed è da qua che parte la riflessione sulla funzione del libro: nell'epoca della smaterializzazione dei testi stampati – fra audiolibri, iPad, eBook e reader d’ogni sorta – il libro continua a essere generatore di senso e attivatore di significati ed eventi che ne rinnovano lo statuto ontologico. A partire dal download libero della versione pdf, passando per presentazioni dal vivo, tavole rotonde,  programmi tv (molti dei co-autori dei libri hanno poi raccontato la loro esperienza di fronte alle telecamere), fino a  tesi di laurea. Il senso dell’operazione affonda le radici nella contemporaneità, investendo questioni e temi – estetici, metodologici, teorici – di grande portata.


The Veterans Book Project, Exhibition overview, courtesy the artist and Nomas Foundation, ph Christina Clusian

Da ultimo, credo sia utile soffermarsi sull’assenza di retorica di The Veterans Book Project: l’artista, più che emettere giudizi di condanna o esprimere commiserazione, sceglie di fare un passo indietro, diventando registratore della voce dei testimoni. Una decisione comunque originale all’interno della tradizione statunitense che fa dell’obiezione di coscienza il proprio cavallo di battaglia, elaborando un senso di colpa – talvolta eccessivo – per le campagne militari e il presunto imperialismo ‘Made in USA’. Si tratta di un filone molto diffuso nell’immaginario popolare e che ha prodotto innumerevoli opere letterarie, cinematografiche, musicali (tra le prime che mi vengono in mente: Il Dottor Stranamore, Apocalypse Now, Nella valle di Elah, Buried, i documentari di Michael Moore, alcune canzoni dei Rage Against the Machine, la celebre ballata metal One dei Metallica).
Si può essere d’accordo o meno, ma anche in questo solco – nella possibilità di dissentire – si situa la differenza fra chi la democrazia ce l’ha e chi no.

Saverio Verini


Monica Haller. The Veterans Book Project
a cura di Stefano Chiodi
dal 6 dicembre 2011 al 23 febbraio 2012
Nomas Foundation, Viale Somalia, 33 - Roma
www.nomasfoundation.com

 

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