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Damien Hirst. The Complete Spots Paintings 1986-2011


Methoxyverapamil (1991); photographed by Prudence Cuming Associates
© Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS 2011, Courtesy Gagosian Gallery

Quello che spesso si dimentica, abbagliati dalle quotazioni stellari e dagli eccessi del sistema artistico che orbita intorno alla sua ‘luce’, è che Hirst è davvero un artista in gamba.
O meglio, lo è stato sicuramente per buona parte degli anni Novanta: già nel 2000, in occasione di uno dei primi importanti solo show alla Gagosian (THEORIES, MODELS, METHODS, APPROACHES, ASSUMPTIONS, RESULTS AND FINDINGS nella sede newyorkese della West 24th Street), si iniziava a descrivere il suo lavoro come congelato in una fase ‘manierista’.
Vita, morte e macabro glamour.

La serie degli Spot Paintings, iniziata alla fine degli anni Ottanta e proseguita per oltre vent’anni con maniacale variazione di colori e dimensioni, è stata alimentata – come altre serie di lavori – dai sensationalismi  del mercato dell’arte contemporanea: opere quotate fino a milioni di euro la cui vile esecuzione manuale è stata dichiaratamente delegata ad assistenti.

Un’operazione concettuale, come è stato scritto, o di critica interna alle follie del mercato dell’arte?
Sicuramente un'impasse, e neanche troppo nascosta:

«Quando faccio un quadro puntinato voglio che la gente che lo vede appeso al muro lo guardi, pensi ai colori e dica: ‘Wow! Che Bello!’. Vorrei che non pensassero altro. Certamente non voglio che pensino a ‘Damien Hirst’. Vorrei che impreziosisca la loro vita, che la migliori, qualunque vita facciano. Vorrei il quadro sul muro ad illuminare la stanza, al di là di quello che credono. Vorrei che scendano le scale tutti i giorni e dicano ‘wow’. Ogni giorno, finché non muoiono, cazzo. Vorrei che fosse sempre così. L’arte è questo. Quello che voglio è questo. Ma io ho preso dei soldi per farlo, e se prendi i soldi succede che non riesci più a vedere il quadro per quello che è. Non vedi più i colori. In un certo senso ho fallito».
(
Damien Hirst e Gordon Burn, Manuale per giovani artisti; Postemdiabooks, Milano, 2004, p. 80)

Così affermava l’artista in una chiacchierata del 1999 con lo scrittore Gordon Burn, sapientemente registrata e nel 2001 pubblicata insieme ad altre undici interviste. Un libro che in Italia è arrivato tradotto nel 2004 (Manuale per giovani artisti) e che varrebbe forse la pena (ri)leggere per capire luci – ma soprattutto ombre – del suo lavoro e più in generale di alcuni aspetti dell’arte contemporanea negli anni Novanta.


Eucatropine (2005); photographed by Prudence Cuming Associates
© Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS 2011, Courtesy Gagosian Gallery

I colori di molti Spot Paintings sono belli, di quella bellezza inquietante che spesso hanno i colori delle pillole mediche, o di alcuni animali e piante velenose.
Ma ‘wow’ è ora più che mai per la faraonica world première delle sue mostre alla Gagosian, per il Complete Spot Challenge (
visita tutte e undici le sedi durante la mostra, riceverai una stampa degli Spot Paintings con dedica personalizzata! ), per i prezzi sempre più stellari o per la dichiarazione di voler ‘fare’ altri quadri fino a due milioni di spot lavorandoci per anni (Ansa).

Sì, probabilmente Hirst ha fallito, come affermato con lungimiranza oltre dieci anni fa.
Ma come Gordon Burns
ha scritto con altrettanta lungimiranza: «l’obiettivo di Hirst (…) è quello di disattendere le aspettative della sua arte, sputare nel piatto in cui mangia e sovvertire la piacevole apparenza delle cose».*
Un'altra impasse dalla quale difficilmente la sua arte uscirà.


Valentina Fiore

* Damien Hirst e Gordon Burn, op. cit. , p.14.


Damien Hirst. The Complete Spot Paintings, 1986-2011
12 gennaio – 10 marzo 2012
Gagosian Gallery, Via Francesco Crispi 16 - Roma
www.gagosian.com

 

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