Sei qui: Home Magazine ARCHIVIO SC MAGAZINE
  • Increase font size
  • Default font size
  • Decrease font size
Cerca

www.sguardocontemporaneo.it

SPECIALE | Intervista a Luca Pignatelli


Testa
, 2008, Courtesy Luca Pignatelli

In questo breve articolo/intervista vorrei presentare un artista che ho avuto il piacere di conoscere durante l’allestimento e la preparazione della mostra Icons Unplugged presso l’Istituto Nazionale per la Grafica a Palazzo Poli (la mostra sarà visitabile dal 1 dicembre al 5 febbraio).
Mi riferisco a Luca Pignatelli, classe 1962, figlio e fratello d’arte (il padre Ercole è anch’egli un pittore, mentre il fratello Daniele è regista).
Pignatelli lavora ormai dal 1987, anno in cui la gallerista milanese Antonia Jannone cura la sua prima personale presso l’omonima galleria.
Luca era un giovane ragazzo che si apprestava a terminare i suoi studi in architettura, pur nutrendo da sempre un interesse per la pittura. Negli schizzi di città presenti nei suoi primi lavori si riflettevano atmosfere atemporali, vagheggiate, bloccate tra il passato ed il presente.
Col passare degli anni, le atmosfere delle città vuote e senza tempo, che qualcuno collegava a Sironi e de Chirico, lasciavano spazio a nuove ispirazioni. Il formato diventava sempre più grande, mentre il supporto cessava di essere quello tradizionale della tela e della tavola. Pignatelli inizia così a dipingere sui grandi tendoni consumati delle ferrovie, una volta utilizzati per coprire i vagoni merci. Luca si serve di questi supporti per mettere in evidenza tutti i segni che il tempo lascia: strappi, sporcizie delle intemperie, ganci, tiranti e fibbie ormai inutilizzate.
L’interesse per i soggetti invece si sposta all’inizio sul mondo degli animali per confluire soprattutto sulle antichità greche e romane. Questi nuovi temi sono ispirati in principio dagli splendidi vasi del Museo Archeologico di Napoli e in seguito dalla statuaria antica di Pompei ed Ercolano.


Città, 1998

Cervo, 2010

Figura classica, 2011

Tra gli ultimi lavori presentati presso l’Istituto Nazionale per la Grafica, alcune opere risentono del rapporto con la Calcografia Nazionale e con uno dei più illustri ospiti delle sue raccolte: Giovan Battista Piranesi. Luca ha realizzato cinque stampe su masonite di alcune vedute del grande architetto veneto. Una masonite consumata dal tempo su cui Pignatelli interviene con l’inserimento di molteplici materiali: fil di ferro, stagno, chiodi, valvole di vecchi televisori e pittura.
Per poter far conoscere meglio l’opera e l’artista ho posto qualche domanda a Luca Pignatelli durante gli ultimi momenti prima dell’inaugurazione della sua personale presso Palazzo Poli.
In poche domande ho cercato di riassumere un ritratto di questo pittore del nostro tempo, non tralasciando le sue ultime iniziative..


Lotta, 2011


Opere nello studio di Luca Pignatelli

2011, Courtesy Luca Pignatelli

 

Francesco Rao | Come è nato il tuo interesse per Piranesi?

Luca Pignatelli: L’esperienza inizia nel 2010 in seguito alla proposta di mostra presso l’istituto Nazionale per la Grafica, luogo deputato alla conservazione delle lastre piranesiane, che fa nascere in me il desiderio di un omaggio/confronto.  La veduta di Piranesi era mio presupposto farla diventare una realtà, quindi la Roma reale, capace di essere incrociata dal passaggio di altri elementi, per esempio di macchine come aerei, applicazioni di materiali nuovi, diversi, ingigantimento del formato, l’utilizzazione di questo materiale trovato per caso sulla spiaggia. Masoniti quasi fossilizzate, perlacee come conchiglie, il grigio dei tetti di latta. Nasce in me anche il Desiderio di  creare una nuova opera attingendo attraverso una scelta molto importante e rigorosa a 5 lavori per me fondamentali  della rappresentazione di Roma di Piranesi: La Villa Albani, Monte Cavallo, San Pietro, Piazza Navona e la Piazza della Colonna Trajana.

F. R. |  Si nota sin da subito il tuo forte rapporto con la fotografia, pur non essendo un fotografo.

L. P. | Un rapporto molto antico, mi ricordo, da bambino cercavo fotografie anonime di paesaggi e di elementi che mi coinvolgessero quasi emotivamente. Come nella mia Atlantis, una serie di 512 carte intelate in cui cerco di rappresentare lo sguardo di un samurai che con una sola occhiata vuole cercare di comprendere un mondo complicato, complesso come per me questo punto di vista sull’occidente.



Atlantis, 2002-2011, Courtesy Luca Pignatelli

 

F. R. | A questo punto sorge spontaneo chiedere chi sono i tuoi maestri o quali consideri tali?


L. P. |
Io ammiro molti artisti, nel senso che mi considero parente lontano con tanti artisti, anche molto precedenti a me, in questo caso per esempio in uno dei miei lavori su Piranesi  La veduta della grande Gran Piazza Di San Pietro, c’è una Biga, quella dei Musei Vaticani, che però è una citazione del Trasporto del fuoco di Giotto degli Scrovegni a Padova, dove questa biga si slancia partendo da un’architettura fino al cielo. Una visione di cinema molto onirica, molto sognata, che ha a che fare con degli elementi noti come quelli che io adopero e che sono rappresentati dentro questo mondo. Qui (Atlantis) c’è una rappresentazione di architettura, di natura, di realtà, di storia che diventa un unico lavoro attraverso la moltitudine.

F. R. | Per finire vorrei chiederti di illustrarci la tecnica con cui dipingi e quindi di spiegare il tuo modo di operare.

L. P. | Nei miei ultimi lavori, esposti presso l’Istituto Nazionale per la Grafica è tutta una tecnica nuova, legata alla ricerca degli ultimi anni, anche se in realtà è stato sempre così per me. Di solito  parto da una scelta razionale, molto serenamente pensosa, anche di un mondo da rappresentare. Uso pochissimo colore, come il pentagramma per la musica, la pagina per il libro, il bianco e nero. Usare la pittura come uno strumento di linguaggio sostanzialmente per dire quello che a me ogni tanto sorprende di scoprire, cioè qualcosa che superi le mie aspettative. Il mio lavoro si avvale di tecniche non sempre ortodosse, non legate all’accademia di belle arti. Uso colori che faccio io, presi dal ferramenta. Non ha un manuale il mio modo di dipingere. Ogni volta è anche inventato dall’occasione.


Francesco Rao

 

Pubblica questo Articolo

Facebook Twitter Google Bookmarks RSS Feed