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IL PUBBLICO | Enrico Ghelardi

 

Cosa ne pensi dei lavori visti nel percorso? Trovi un legame con il quartiere, a livello di memoria o di riflessione di attualità?

Pensi che un'esperienza come Nuova Gestione possa effettivamente contribuire al rilancio di un quartiere come il Quadraro?

Molte persone oggi lamentano la distanza dell'arte dal "mondo": in che modo vorresti che le forme artistiche della contemporaneità entrassero in contatto con la vita quotidiana?

 

Iniziamo dalla seconda domanda, la più facile: certo che iniziative belle e intelligenti come la vostra possono contribuire al rilancio del quartiere! Per me poi che ci vivo e vi ho comprato casa tutto ciò che dà vita artistica, culturale e, dal mio punto di vista, spirituale a queste strade è come un raggio di sole in una giornata un po' nuvolosa.

I lavori visti nel percorso cercavano certamente un legame con il quartiere e rivelavano l'intelligenza e la creatività con cui gli autori perseguivano tale scopo. Se poi parliamo della loro 'efficacia' possiamo ricollegarci alla terza domanda circa l'arte contemporanea in generale.

Il mio modestissimo parere è che in passato l'arte (pittura e scultura così come musica o teatro) era molto più in contatto con la vita quotidiana perché il suo linguaggio era molto più diretto e direttamente codificabile dalla gente comune. Certo l'esperto vi poteva cogliere significati ed aspetti tecnici che all'uomo comune sfuggivano, ma nel suo insieme l'arte si concretizzava nell'opera, nell'oggetto creato, e questo 'parlava' da solo.

Con il tempo il linguaggio artistico si è inevitabilmente evoluto, fino a produrre opere che di per sé dicono poco o nulla ma che acquistano senso e valore solo se inserite in tutto un contesto culturale e di storia dell'arte. Spesso non è più l'opera in sè che 'parla', ma è tutto il contesto culturale che la circonda e con cui viene presentata.
Senza tale contesto l'opera d'arte contemporanea spesso resta 'muta'.



Visita nello spazio di via dei Quinitli 105 | Elisa Strinna, Once, upon this time (C'era una volta, oggi); photo Valeria De Berardinis


Tutto ciò, a mio avviso, spinge molta dell'arte contemporanea verso un universo di soli addetti ai lavori ed essa finisce per parlare più al cervello delle persone (e deve essere un cervello pronto e preparato) più che ai sensi, al cuore e all'anima. L'artista diventa sempre più un intellettuale creativo e l'opera d'arte un'operazione concettuale, senza più traccia dell'abilità 'artigianale' del passato.

Difficilmente quest'arte farà breccia nel cuore della gente comune (infatti l'avanguardia e la sperimentazione di un secolo fa sono ancora oggi avanguardia e sperimentazione) e alla gente comune restano i prodotti contemporanei più commerciali e di facile consumo o l'ammirazione per i capolavori del passato (che ancora, guarda caso, riescono a parlare al cuore).

Per l'artista contemporaneo è un bel guaio: o resta legato ad un linguaggio più tradizionale, e allora sarà più 'compreso' dalla gente comune ma sicuramente tacciato di anacronistico passatismo dai critici, o adotta un linguaggio più sperimentale e allora sarà accettato dalla critica come artista contemporaneo ma resterà troppo spesso lontano dal sentire della persona comune.

Il discorso fatto così è un po' semplicistico e non considera le infinite e importanti sfumature che ci possono essere, ma è grosso modo il mio parere.

Ancora complimenti per la vostra iniziativa e per il vostro sguardo così aperto, intelligente ed entusiata.



Enrico Ghelardi abita al Quadraro; ha visitato Nuova Gestione il 12 febbraio 2012.

 

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