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Riflessioni sulla temporalità. Michael Dean


La nostra permanenza quotidiana (2010), ©Altrospazio, Courtesy Supportico Lopez, Berlino

I concetti di permanenza e impermanenza articolano la personale del trentenne inglese Michael Dean alla Nomas Foundation. Come ragiona l’artista su questa antinomia? L’analizza all’interno di un discorso sulla temporalità, in un confronto tra immanenza e transitorietà. Inizialmente è il tempo storico, la narrazione dei secoli, ad affascinare l’artista, portandolo a riflettere sull’antichità romana; in particolare, Dean è colpito dalle colonne di Roma, dalla loro maestosità passata confrontata al decadimento presente. Questi elementi architettonici, nascosti e mimetizzati all’interno del tessuto urbano, recano, sbiaditi, i segni della loro gloria e magnificenza. Quale migliore esempio per l’antitesi di cui si accennava in precedenza. Niente è permanente, gli oggetti e le sculture più significative finiscono col tempo per ridursi, inevitabilmente, a polvere e rovine. Così avviene per le colonne, che, modellate e lavorate per diventare elemento architetturale, con il passare delle epoche tornano a essere semplice pietra. Questo ragionamento prende forma nei lavori esposti alla Nomas Foundation: su cubi bianchi vengono disposti gruppi di elementi troncoidali, piccoli fusti con venature affini alle scanalature di una colonna o alla corteccia di un albero, testimonianti entrambi lo stratificarsi del tempo. Questi oggetti sembrano richiamare colonne in miniatura, nel momento in cui esse sono state già aggredite dall’azione distruttiva dei secoli. Sono rovine sfaldate e frammentate che rammentano l’impermanenza di tutti i fenomeni esistenti nella storia.


La nostra permanenza quotidiana (2010), ©Altrospazio, Courtesy Supportico Lopez, Berlino

Si parlava anche di permanenza (come del resto indica il titolo della mostra, La nostra permanenza quotidiana): questi fusti disseminati nello spazio ricordano il collo umano, attivando una nozione di tempo legata all’immanenza del momento presente, all’atto di parlare realizzato tramite le vibrazioni della gola. Questo secondo aspetto si confronta con quello di distanza storica relativo al ragionamento sulla colonna. Per rafforzare il legame con il corpo umano, i lavori sono posizionati alla stessa altezza dell’artista, in modo che il collo di quest’ultimo risulti speculare alla collocazione dei fusti. Come nelle scatole cinesi, dopo il primo significato della mostra si apre dunque un secondo, contenuto in quello iniziale.

La persistenza nel momento presente e ‘quotidiano’ dell’atto del parlare si sviluppa poi nel contesto di Roma, con la distribuzione in diversi luoghi della città di un testo realizzato dall’artista. Dean lavora spesso con il linguaggio, utilizzando una sintassi frammentata e impersonale, come in questo caso. Il testo si articola in un dialogo tra due persone, che tuttavia non risultano caratterizzate da nomi propri, ma indicate semplicemente come «voce». Lo stesso testo viene presentato in mostra, sotto forma di libro a cui si può portare via una pagina, con un gesto performativo che abbatte la barriera tra lo spettatore e l’opera d’arte. La riflessione sulla voce viene inoltre sviluppata in due video, realizzati con forti contrasti cromatici, in cui la ripresa si concentra sulle vibrazioni della gola nell’atto di recitare un testo. Il ragionamento di Dean sulla permanenza trova infine la sua conclusione nel senso di alcune sculture posate a terra, somiglianti a sedie, che, richiamando condizioni di attesa e di riposo, rimandano una volta di più ai concetti di immanenza e fissità temporale.


La nostra permanenza quotidiana (2010), ©Altrospazio, Courtesy Supportico Lopez, Berlino

Francesca Castiglia



 

La nostra permanenza quotidiana - Michael Dean
a cura di Cecilia Canziani e Ilaria Gianni
dal 9 Dicembre 2010 al 25 Febbraio 2011
Nomas Foundation, Viale Somalia 33 – Roma
http://www.nomasfoundation.com/

 

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