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Da Cranach a Monet. Capolavori dalla collezione Pèrez Simòn

La mostra da poco inaugurata a palazzo Ruspoli si pone come una delle tappe di un percorso espositivo che ha già portato le opere qui presenti a Madrid, Dallas e in Quèbec. I quadri provengono dalla ricca JAPS Collection, la quale prende il nome dalle iniziali di Juan Antonio Pèrez Simòn, magnate messicano che negli anni settanta ha dato vita alla raccolta. Da essa sono state selezionate 57 opere pittoriche che mirano a coprire, esemplificandoli, ben cinque secoli, dal XIV al XIX sec., attraverso le opere di artisti italiani, spagnoli, tedeschi, fiamminghi, olandesi, francesi ed inglesi. Impresa non semplice, questa, che a palazzo Ruspoli si snoda all’interno di sole sette sale. La mostra ha inizio con una sala dedicata alla “Pittura italiana e tedesca dal XIV al XVI secolo”, nella quale viene dato particolare risalto alle due opere di Lucas Cranach il Vecchio, Carità (1536) e San Girolamo (1515), collocate all’interno di due finte pareti disposte a forma di libro. Ma le più antiche opere sono due Madonne con Bambino, una di Spinello Aretino, del 1390, l’altra di Benvenuto di Giovanni della seconda metà del XV secolo. Solo per una coincidenza di motivi iconografici si spiega la presenza in questa sala di una Madonna con Bambino di Rubens, che non solo è opera di un artista fiammingo ma appartiene al XVII secolo, per cui la sua presenza non collima con il titolo dato alla sala. Non si tratta dell’unica “svista” che è possibile notare all’interno dei pannelli informativi, il cui scopo dovrebbe essere appunto quello di informare, aumentare l’efficacia culturale della visita e ai quali qui, invece, viene data una scarsissima importanza. La seconda sala è dedicata principalmente alla pittura fiamminga di genere del XVII secolo e all’interno di essa va segnalato lo splendido olio su rame di J. Toorenvliet, La visita del dottore (1690). Anche qui, più che le opere, di grande valore artistico, sono i pannelli a deludere e confondere. Piuttosto che dare un’idea del perché si siano scelte proprio quelle opere tra le tante della collezione Pèrez, vi troviamo un insieme di nomi di artisti non presenti in mostra e ancora si parla di Rubens, presente nella sala precedente, e di Van Dick, presente in quella successiva. Quest’ultima è intitolata alla “Pittura europea del XVIII secolo”, titolo piuttosto vago, ma che serve ad includervi Canaletto, Tiepolo, Pannini, Nattier, Goya (con lo splendido Ritratto di Doña Maria Teresa de Vallabriga y Rozas, in cui un aspetto aristocratico si sposa con la volontà di conferire freschezza e vitalità al volto) e addirittura Van Dick e Ferdinand Bol, due artisti del secolo precedente! Fortunatamente lo splendore delle opere fa dimenticare certe superficialità curatoriali: Il filosofo (1640-42) di Ferdinand Bol è uno dei grandi capolavori presenti in mostra e ci presenta il particolarissimo modo dell’artista di rifarsi all’opera del suo maestro Rembrandt, coniugando matericità e profondità evocativa attraverso un uso carismatico della luce. Più omogenee le due sale successive dedicate all’arte vittoriana, che ricopre un ruolo di primaria importanza tanto nella mostra quanto nella collezione. L’attenzione nei confronti della donna, del piacere per la bellezza, della sensualità, che ha da sempre colpito il collezionista, si coglie appieno nelle opere simboliste e preraffaellite di grande impatto emotivo e mistico, tra le quali spiccano le due opere di Sir Lawrence Alma Tadema, Le rose di Eliogabalo (1888) e Paradiso terrestre (1891), dai toni traslucidi e dalle inconfondibili figure che emanano una sensualità quasi fisica capace di toccare emotivamente lo spettatore. Bellissimo anche Vashti (1878), di Edwin Long, grande ricamo pittorico che riproduce un interno orientale bianco da cui emerge solo lo sguardo profondo della principessa dagli occhi tristi. Si passa poi direttamente ad uno dei più noti accademici francesi, Cabanel, in quella che è una sorta di anticamera che introduce all’ultima grande sala, suddivisa attraverso pannelli in periodi artistici differenti: si va dal realismo luministico di François Borvin alle descrizioni naturalistiche en plain air di Pisarro e Breton, dall’Impressionismo di Monet al Postimpressionismo di Gauguin e Van Gogh. I nomi sono tutti altisonanti, come è facile notare, ma tra i quadri manca una qualsiasi coesione, all’interno della vaga categoria che li qualifica come “Paesaggi”. Il fine di mostrare la versatilità della collezione appare raggiunto, a differenza della possibilità della mostra di presentarsi come guida all’interno di un insieme di opere così eterogeneo. Realizzare una mostra su di una collezione richiede un percorso sicuramente più intricato e complesso rispetto a quanto accade nelle mostre monografiche e per questo sarebbe opportuno seguire delle linee tematiche che, ovviamente, esistono anche qui, ma non vengono spiegate al pubblico, soprattutto per la scarsa cura posta nella realizzazione dei pannelli informativi. Una collezione, a mio avviso, non si qualifica solo per la presenza di grandi opere, ma soprattutto per l’esistenza di un gusto: quello del suo collezionista. E in questo caso la figura di Juan Antonio Pèrez Simòn è messa in secondo piano; di lui si intuiscono alcune predilezioni, ma non il senso profondo delle scelte che lo portano a parlare dell’interesse nei confronti dell’arte in termini di “una passione composta, come negli amori maturi”. Quando una mostra su una collezione riuscirà ad avvicinare un ignoto collezionista a folle di visitatori, facendo percepire le sue peculiarità rispetto a qualsiasi altra collezione, allora avrà svolto la sua missione. Altrimenti se ne coglierà la ricchezza numerica, forse l’alto valore di qualche pezzo, ma non la si sarà conosciuta né compresa.

Tania De Nile


Da Cranach A Monet. Capolavori della collezione Perez Simòn

dal 4 ottobre 2007 al 27 gennaio 2008

Palazzo Ruspoli (Fondazione Memmo), Via del Corso 418 – Roma

www.fondazionememmo.it

 

 

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